Agricoltura comunitaria al giro di boa: si vaglino gli aspetti ambientali

La nostra epoca è caratterizzata da alcune ipocrisie di difficile soluzione. Una di questa è quella legata alle produzioni agricole intensive e alla relativa imposta ambientale che siamo disposti a pagare pur di avere determinate rese e prodotti a un prezzo prestabilito.
Da un punto di vista pedologico, paesaggistico, naturalistico o culturale, una delle cause di degrado ecologico del territorio, insieme al consumo di suolo, è determinata direttamente e indirettamente dalle produzini agricole intensive, con largo impiego di macchinari, serre, fertilizzanti e prodotti fitosanitari (Donald et al., 2001).
Basandosi sul pretesto che la produzione agricola intensiva sia essenziale per l’alimentazione umana e animale, in tutta Europa, ma particolarmente nel nostro paese, la politica agricola autorizza soggetti a eludere regolamenti e indicazioni per la sostenibilità ambientale del proprio ciclo di attività.
Le attività agricole intensive determinano un’intensa pressione, sia sui suoli agricoli sia sulle aree umide che ne drenano le acque, fintanto ad arrivare alle falde acquifere, minacciate dalle percolazioni superficiali e dall’utilizzo di sostanze che, metabolizzate, possono risultare assai più pericolose e persistenti delle molecole iniziali.
È il caso del DDT (a oltre 40 anni dal suo bando ufficiale, nel 1978) e dell’aldrin (bandito nel 1973) e dei loro metaboliti, ancora rilevati nelle acque italiane, ma anche di tante altre sostanze di seconda e terza generazione, che stanno mettendo a repentaglio specie e habitat (ISPRA, 2015, http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/valutazione-del-rischio-potenziale-dei-prodotti-fitosanitari-nelle-aree-natura-2000) e quindi la biodiversità e il paesaggio italiano.

CRITICHE ALLA PAC
Attualmente, all’errata produzione agricola intensiva è attribuita la responsabilità del declino della biodiversità a livello globale e europeo. Nell’Unione Europea, uno dei dati più eloquenti della relazione riguarda gli habitat associati a pratiche agricole sostenibili, che mostrano uno stato di conservazione peggiore rispetto agli ambienti non agricoli, con il 7 % soltanto degli habitat in buono stato di conservazione rispetto al 21 % delle altre tipologie di habitat (si veda la Valutazione dello stato di salute per gli habitat e le specie nell’UE).
Tra le pressioni esercitate sull’ambiente in queste aree lo sfruttamento eccessivo dei pascoli, concimazioni eccessive, un uso sconsiderato degli antiparassitari, modifiche delle pratiche tradizionali di coltivazione e la distruzione di caratteristiche paesaggistiche come le siepi. La situazione non è stata sostanzialmente modificata dalla Politica Agricola Europea (PAC) ed è necessaria una sua drastica revisione, o l’emanazione di norme nazionali più restrittive di quelle europee, seguendo il principio della sussidiarietà.

L’allarmante crisi agricola ha portato a scelte solo apparentemente a favore delle produzioni agricoli nazionali, adottando di fatto politiche liberiste e incuranti delle conseguenze ambientali. “Profitto innanzi tutto”, “difendere le rendite agricole”, per anni è stato questo il leit motif che si udiva nelle sale europee, dove i nostri rappresentanti avrebbero dovuto battersi per tutelare le ricchezze e varietà locali, invece di appiattire il mercato a vantaggio della grande distribuzione e delle varietà “standard”, impoverendo la disponibilità di prodotti in nome della globalizzazione e delle multinazionali del cibo.

Tuttavia, a causa della produzione agricola intensiva, dopo aver contaminato una consistente parte del suolo e delle falde acquifere, danneggiato, in molti casi in maniera irreparabile, la biodiversità e aver fornito un contributo decisivo all’aggravarsi dell’attuale crisi climatica, l’agricoltura industriale può rivendicare una porzione relativamente piccola della produzione alimentare globale. La maggior parte del cibo che mangiamo è ancora prodotta da piccoli e medi agricoltori, mentre la stragrande maggioranza delle colture provenienti dal settore industriale, come mais e soia, viene utilizzata principalmente come mangime per gli animali o per produrre biocarburanti.
Nella prima tornata della politica europea sull’agricoltura, sono stati scelti indicatori considerati facili da misurare. Uno di tali indicatori, il Farmland Bird Index, nelle analisi dei trend (Voříšek et al., 20103) ha evidenziato andamenti drammatici (sino a – 50% di consistenza numerica) per diverse specie.
L’agricoltura tocca anche processi come l’impollinazione, che subisce a sua volta sorti non meno drammatiche: diverse specie di farfalle mostrano un drastico calo del -50% delle popolazioni dal 1990 al 2011, come mostrato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente per 17 specie (European Environment Agency, 2014), e da enti nazionali e locali con studi meno ampi su api e altri insetti impollinatori.
Per decenni, riforma dopo riforma, l’Unione europea non ha corretto gli effetti distorsivi di una politica agricola pagata con i soldi dei cittadini europei, ha favorito un ristretto numero di grandi aziende agricole intensive a discapito dei produttori estensivi, sensibili al rispetto di ambiente, benessere animale e biodiversità, come i produttori biologici o biodinamici.
La PAC, com’è formulata ora, e come viene applicata, con deroghe e carenza di controlli vincolanti, contribuisce gravemente alla perdita di biodiversità e habitat naturali, al cambiamento climatico, al degrado del paesaggio, all’erosione e alla perdita di sostanza organica del suolo, alla scarsità d’acqua, all’inquinamento dei suoli, delle acque e dell’aria.
Il dossier presentato dalla Commissione Europea sulle Ecological Focus Areas (EEA, 2013), aree pari al 5% dei terreni agricoli seminativi aziendali che dovrebbero essere dedicate alla tutela della biodiversità, in cambio del pagamento “Greening” (il 30% delle risorse del primo pilastro della PAC) evidenzia che la maggior parte delle EFA è costituita oggi da colture azotofissatrici che non contribuiscono sensibilmente alla conservazione della Natura; inoltre, il rapporto non contiene un’analisi dell’impatto delle EFA sulla biodiversità. Infine, si conclude con la decisione di non alzare la percentuale dal 5% al 7%, come consentito dai regolamenti, a conferma di una scarsissima attenzione per l’ambiente e per la tutela della Natura.

Di fatto, si assiste al fallimento degli obiettivi ambientali del primo pilastro della PAC e all’incapacità di trasferire risorse dal primo al secondo pilastro, per sostenere le iniziative del territorio in termini di servizi ecosistemici, di tutela della biodiversità, introducendo il criterio dei pagamenti alle aziende agricole in base ai risultati ambientali concreti raggiunti e utili per la collettività.
L’unica politica agricola ammissibile deve essere sostenibile per agricoltori, lavoratori salariati agricoli e comunità rurali, così come per ambiente e paesaggio, deve favorire qualità delle acque, suolo fertile, rispettare il benessere degli animali, garantire la tutela della Natura e favorire la biodiversità ovunque e comunque. Deve garantire cibo di qualità, il più possibile a chilometro zero, con attenta valorizzazione dei germoplasmi locali.
Deve essere promossa un’agricoltura veramente sostenibile a livello globale. L’Italia, in questo, dà pessima prova di sé, essendo passata negli anni ’70 da esportatore a importatore di fertilizzanti e pesticidi, in corrispondenza della cosiddetta “Rivoluzione Verde”, che ai nostri campi e agli habitat naturali ha apportato tanti danni. La tendenza “suicida” del nostro Paese, che mostra tutt’ora la maggiore biodiversità europea, soprattutto se calcolata in
proporzione alla superficie e alla densità di popolazione umana, si è infatti acuita dopo gli anni ’70 del secolo scorso, quando praticamente si è smesso di seguire una politica agricola nazionale e si è innescata una pericolosissima dipendenza dalle grandi ditte multinazionali (Bayer, Dow, Du Pont, Syngenta, Monsanto ecc.), che garantivano “pacchetti completi” per gli agricoltori, indipendenti dalla vocazione d’uso dei suoli, dalla specificità degli ambienti produttivi e dalle problematiche ambientali limitrofe o intrinseche.
In questo contesto, appare preoccupante l’esempio della pianura padana, dominata da produzione agricola intensiva e un’accentuata semplificazione degli agro-ecosistemi, trasformati in ambienti sterili e paesaggisticamente banali, con conseguenze pericolosissime per stabilità e resistenza ai cambiamenti globali.
Queste tendenze sono assai preoccupanti per il nostro Paese, che vanta una diversità di suoli inusuale in tutto il mondo, su una superficie di soli 300.000 km2, e la più variegata e ricca biodiversità dei suoli in Europa, che a sua volta mostra tassi di endemicità oltre ogni aspettativa (superiori al 50% delle specie, per alcuni gruppi).
Tuttavia, in assenza di un dignitoso ruolo economico per l’agricoltura nazionale, e al di là di poche occasioni in cui i nostri funzionari si sono fatti sentire in Europa per tutelare determinati consorzi o prodotti, la posizione di paese leader che l’Italia dovrebbe far sentire nel continente su agricoltura e biodiversità è invece finora risultata assai defilata.
In questo contesto, risulta fondamentale disporre di indicatori in grado di monitorare l’efficacia delle misure prese per la conservazione della biodiversità (Julliard et al., 2004; Van Strien, 2004; Gregory et al., 2005; ISPRA, 2015).

I Paesi aderenti alla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) hanno riconosciuto l’importanza della biodiversità come componente integrale e vitale e seriamente trascurata  per l’alimentazione e l’agricoltura. La FAO sta supportando tali sforzi e rendendo disponibili informazioni sull’importanza della biodiversità  per l’agricoltura sostenibile, inclusa la silvicoltura, attraverso una serie di attività: un sito web con informazioni di base, casi studio e collegamenti a programmi e istituzioni in corso; l’organizzazione con EMBRAPA, brasiliana, di un workshop tecnico
internazionale che ha portato allo sviluppo di un piano d’azione per l’attuazione della Soil Biodiversity Initiative (iniziativa per la biodiversità del suolo – SBI) e attraverso il collegamento con i partner e il segretariato della CBD.
In Italia, il CREA, in concerto con l’ISPRA/SNPA, sta proponendo nuovi indicatori basati sulla biodiversità del suolo per le aree agricole, utili a monitorare gli effetti delle politiche agricole sul territorio e il paesaggio e implementare un sistema di monitoraggio più rispondente alle esigenze della conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici da essa forniti.

Riferimenti bibliografici riguardo la produzione agricola intensiva

Donald P.F., Green R.E. and Heath M.F., 2001. Agricultural intensification and the collapse of Europe’s farmland bird
populations. Proceedings of the Royal Society of London B: Biological Sciences, 268(1462), pp.25-29. doi:
10.1098/rspb.2000.1325. PMCID: PMC1087596. PMID: 12123294

EEA, 2013. The European Grassland Butterfly Indicator: 1990–2011. Technical report No 11/2013. Disponibile su
Internet all’indirizzo: https://www.eea.europa.eu/publications/the-european-grassland-butterfly-indicator-19902011

Gregory, J. M., W. J. Ingram, M. A. Palmer, G. S. Jones, P. A. Stott, R. B. Thorpe, J. A. Lowe, T. C. Johns, and K. D. Williams (2004), A new method for diagnosing radiative forcing and climate sensitivityGeophys. Res. Lett.31, L03205, doi: 10.1029/2003GL018747. Wiley Online LibraryADSWeb of Science®Google Scholar

ISPRA. Valutazione del rischio potenziale dei prodotti fitosanitari nelle Aree Natura 2000. Rapporti 216/2015. ISBN:
978-88-448-0702-3.

Julliard R.,  Clavel J.,  DevictorV. , Jiguet F.,  Couvet  D., 2006. Spatial segregation of specialists and generalists in bird communities. Ecology Letters, 9: 1237–1244 doi: 10.1111/j.1461-0248.2006.00977.x

Voříšek P., Frederic J., van Strien A., Škorpilová J., Klvaňová A. & Gregory R.D., 2010. Trends in abundance and
biomass of widespread European farmland birds: how much have we lost? BOU Proceedings – Lowland Farmland Birds III. http://www.bou.org.uk/bouproc-net/lfb3/vorisek-etal.pdf

Report on the implementation of Ecological Focus Areas. https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/117863/COMAGRI-02-05-2017_D%20slides_Ecological%20Focus%20Areas.pdf

van Strien A.J. , Gmelig MeylingA.W.,  Herder J.E., Hollander H., Kalkman V.J., Poot M.J.M., Turnhout S., van der Hoorn B.,  van Strien-van Liempt W.T.F.H., van Swaay C.A.M., van Turnhout C.A.M., Verweij R.J.T., Oerlemans N.J., 2016. Modest recovery of biodiversity in a western European country: The Living Planet Index for the Netherlands. Biological Conservation, 200:44-50. ISSN 0006-3207, https://doi.org/10.1016/j.biocon.2016.05.031

Link

http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/valutazione-del-rischio-potenziale-dei-prodotti-fitosanitari-nelle-aree-natura-2000

http://ec.europa.eu/environment/nature/knowledge/rep_habitats/docs/conservation_it.pdf

www.europeanconsumers.it

Autori

Dr. Pietro Massimiliano Bianco,
Dr. Valter Bellucci,
Dr. Carlo Jacomini

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