Prefazione
I gravi sconvolgimenti a livello mondiale di natura militare ed economica non possono far dimenticare quelli altrettanto gravi di natura sanitaria ed ambientale che si stanno profilando a danno delle popolazioni, soprattutto europee.
Ci si riferisce, in particolare, all’attuale corso della pandemia da COVID-19 che si è trasformata in endemia, ovvero in malattia da curare annualmente con il “soccorso” delle multinazionali di turno che lautamente lucrano offrendo come “cura” nuovi e più potenti “vaccini” che, nel concreto, vaccini non sono se riescono a garantire qualche mese di protezione lasciandosi alle spalle una scia imponente di morti, soprattutto giovanili, del tutto ingiustificate ed incomprensibili.
Nè si riesce a comprendere il comportamento di queste multinazionali quando continuano a proporre e a spacciare come miracolosi i vegetali GM e quelli agli stessi assimilabili quali gli NGT, NBT e/o TEA (ved., in tal senso, le sentenze vincolanti della Corte di Giustizia UE del 15 luglio 2018, C-528/16 e del 7 febbraio 2023, C-688/21 ), che dovrebbero risolvere tutti i problemi delle imprese agricole e dell’ambiente, ignorando che questi vegetali GM, vecchi e nuovi, non solo inquinano irreversibilmente l’ambiente delle aree agricole estromettendo dal mondo della produzione i vegetali biologici e convenzionali e relative imprese, ma risultano essere anche una delle possibili fonti della richiamata pandemia/endemia, ove si consideri il dettato del 12° “considerando” del Regolamento UE n. 1043/2020 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 luglio 2020 per il quale: “La COVID-19 è una malattia complessa che incide su molti processi fisiologici. Potenziali trattamenti dei vaccini sono attualmente in fase di sviluppo. Alcuni dei vaccini in fase di sviluppo contengono virus attenuati o vettori vivi che possono rientrare nella definizione di OGM’.
In merito a questa sperimentazione, tale Regolamento prevede che “lo sponsor (operatore del settore) non è tenuto a munirsi di autorizzazione scritta alcuna, dell’autorità competente, per l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM, ai fini di ricerca e sviluppo, per la creazione di medicinali e vaccini contenenti OGM o da essi costituiti, destinati alla prevenzione o alla cura della malattia da coronavirus COVID-19″ (art. 2 e 3 del Reg.to cit.).
Nè si può ignorare, in proposito, il fatto che i mangimi con cui si nutrono in Italia e nella UE gli animali di alta e bassa corte, sono in gran parte vegetali GM che potrebbero risultare fonte indiretta della citata pandemia/endemia tramite il trasferimento genico orizzontale (TGO) che trasmette il virus e/o il batterio dal vegetale all’animale e dall’animale all’uomo con le carni con cui si nutre.
Trasferimento genico orizzontale (TGO), tra specie diverse, osservato e fotografato, di recente, da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Indiana USA (ved. rivista “Nature Microbiology”, 2018).
Ne consegue che duplice è il danno, da una parte gli OGM sono presentati dal Regolamento in parola come una delle possibili fonti dell’attuale pandemia/endemia, dall’altra tali OGM possono essere coltivati, a fini sperimentali, in campo aperto liberamente, inquinando irreversibilmente l’ambiente e le aree agricole utilizzate e quelle circostanti senza che gli agricoltori interessati siano informati e messi in grado di difendersi ed opporsi.
Sperimentazioni in campo aperto con questi vegetali GM e agli stessi assimilabili (NGT, NBT e/o TEA) addirittura ammesse con recente legge n. 68 del 2023 (ved. art. 9bis della stessa) senza risolvere problema alcuno di coesistenza con i vegetali non GM (biologici e convenzionali), peraltro impossibile stante l’orografia di tutte le aree agricole nazionali, invadendo e, di fatto, azzerando la competenza “concorrente”, in materia di ricerca e sperimentazione, tra Stato e Regione (e, quindi, non “esclusiva” dello Stato), di cui all’articolo 117 della Costituzione.
Da rilevare, ancora, l’inaccettabile comportamento del Governo (Draghi) che, contro il parere del Parlamento e superando la delega ricevuta dalla legge n.117/2019 ( art. 11 ), ha reintrodotto la possibilità di coltivare gli OGM in Italia con i decreti legislativi n. 18 e 20 del 2021, dimenticando, tra l’altro, in un contesto di piena pandemia da COVID-19 (anno 2021) il dettato del 22° “considerando” della Direttiva n. 2001/18/CE per il quale: “E’ opportuno tenere particolarmente conto della questione dei geni della resistenza agli antibiotici nell ‘effettuare la valutazione del rischio degli OGM contenenti siffatti geni”.
E tutto ciò nel silenzio generale di una collettività che, per la verità, viene debitamente disinformata e distratta, su questi temi, in maniera sistematica e costante.
Con la presente pubblicazione si vuole, in qualche modo, ovviare a tale oscuramento e rendere noti, con opportuni approfondimenti, studi, pareri motivati ed aggiornamenti, i pericoli che stanno correndo non solo la salute dell’intera comunità nazionale, ma anche la salute degli animali e l’integrità delle aree agricole e dell’ambiente; comunità nazionale che non può continuare ad assistere passivamente a simili comportamenti e scelte di chi, fonte probabile dell’attuale pandemia/endemia, si propone addirittura come medico, offrendo la relativa “cura”, ovvero i c. d. “vaccini”, lucrando, nel contempo, molti lauti guadagni.
In concreto, è necessario attivarsi ad ogni livello per difendersi da così violente aggressioni, anche proponendo, all’occorrenza, l’indizione di un referendum per abrogare simili disposizioni.
Il Presidente
(dr. Marco Tiberti)
ULTIMI AGGIORNAMENTI IN MATERIA DI OGM E DI VEGETALI AGLI STESSI ASSIMILABILI (NBT, NGT E/O TEA).
Capitolo I
Premessa
Se con l’articolo 9bis, della legge n. 68 del 20231, si ammette e si regola la sperimentazione in campo aperto degli NBT, NGT e/o TEA di “nuova mutagenesi” e non degli OGM, vuol dire che, di fatto, gli OGM si ritengono non coltivabili, in attuazione, tra l’altro, del principio di precauzione di cui alla Direttiva 2001/18/CE, 4° e 5° “considerando” per i quali: “Gli organismi viventi immessi nell’ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili” (4° “considerando”).
“La tutela della salute umana e dell’ambiente richiede che venga prestata la debita attenzione al controllo dei rischi derivanti dall’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM)” (5° “considerando”).
Ma le sentenze della Corte di Giustizia UE del 25 luglio 2018, C-528/16 e del 7 febbraio 2023, C-688/21 (vincolanti per gli Stati membri), hanno parificato agli OGM questi vegetali NBT, NGT e/o TEA quando, per i medesimi, non sia possibile dimostrare la presenza di “una lunga tradizione di sicurezza”, così come disposto dal 17° “considerando” della citata Direttiva 2001/18/CE, per il quale: “la presente direttiva non concerne gli organismi ottenuti attraverso determinate tecniche di modificazione genetica utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”.
Tra questi vegetali, ottenuti tramite “nuova mutagenesi”, da considerare pericolosi, non sicuri, instabili, ossia privi della citata “lunga tradizione di sicurezza”, la Corte ha incluso anche i vegetali “Clearfield”, ivi compreso il riso Clearfield che in Italia si coltiva dal 2006 essendo stato parificato ai prodotti convenzionali e non agli OGM, come tale iscrivibile, e iscritto, nel Registro delle varietà convenzionali, senza autorizzazione alcuna di cui alla Direttiva 2001/18/CE.
Ma la coltivazione in campo aperto di questo vegetale ha confermato, in questi 18 anni, i timori di chi li riteneva vegetali GM e non convenzionali, ove si considerino i loro effetti negativi, messi in evidenza da “European Consumers” in molte notazioni del passato, recente e meno recente, con l’invito, inascoltato, alle autorità competenti e alle Istituzioni (Parlamento incluso) a disporre la cancellazione dal Registro delle varietà convenzionali di tutti i vegetali prodotti con il metodo Clearfield, ivi compreso il riso.
Invito che “European Consumers” rinnova perché non si accresca a dismisura il grave danno già arrecato all’agricoltura nazionale che la sperimentazione in pieno campo dei nuovi NBT, NGT e/o TEA (di cui all’articolo 9 bis, cit.) in tutte le aree agricole italiane aggraverà ulteriormente.
Non sembra, invero, che questa “lunga tradizione di sicurezza“ sia stata presa in considerazione da chi ha ritenuto “opportuno” parlare di “riso della vittoria” per un riso TEA ottenuto tramite “nuova mutagenesi”, utilizzando la tecnica CRISPR-Cas 9, che, di fatto, produce gli stessi effetti prodotti dagli OGM, compreso l’inquinamento irreversibile delle aree utilizzate a tale scopo sulle quali non si potranno più coltivare vegetali convenzionali e/o biologici, danneggiando, nel contempo, irrimediabilmente i terreni limitrofi destinati alla produzione di questi vegetali.
Riso che si chiamerà addirittura “Ris8ttimo” (ovvero “Telemaco”) tanta è la certezza della sua salubrità.
Salubrità totalmente garantita da chi, uscito dai laboratori, ha cominciato a coltivare tale riso a cielo aperto in un’area di 28 metri quadrati (ved. Avvenire, del 14/5/2024. pag. 15) ai sensi del citato art. 9bis della l. n. 68 del 2023.
Effetti in campo dei vegetali NGT, NBT e /o TEA
Sperimentazione, peraltro, inutile, ove si considerino, si ripete, i risultati e gli effetti in campo e sui prodotti di queste coltivazioni, assai bene descritti anche da operatori del settore, tra cui un risicoltore piemontese che, in merito, così si esprime “Lo scorso settembre ho compiuto sessant’anni, se devo riassumere il tempo vissuto di cui ho coscienza devo dire che nel territorio risicolo siamo passati da un giardino pieno di vita a un quasi deserto; è questo “quasi” che mi spinge a resistere ai “Clearfield”, visto anche che fino ad oggi mettendo a confronto varietà equivalenti la produzione è maggiore coi risi tradizionali. Inoltre, io penso che un agricoltore vero deve mangiare quello che produce e non produrre qualcosa per farla mangiare agli altri a loro insaputa, come avviene per i “Clearfield” che sono commercializzati mescolati con le nostre vecchie varietà”.
Chiarisce, ancora, questo risicoltore che non produce riso “Clearfield”:
“Il frazionamento della proprietà fondiaria e, conseguentemente, quello delle aziende fa sì che quando si semina (nel caso del riso si effettua a spaglio) una parte dei semi finisce nei campi dei vicini; quando si fanno i trattamenti diserbanti spesso le condizioni metereologiche, durante la finestra in cui è più efficace il diserbo, non sono ottimali; errori di esecuzione da parte dell’operatore o guasti ai mezzi avvengono; il movimento dell’acqua che si usa per la coltivazione (per il riso si usano le colature delle risaie a monte rendendo interdipendenti non solo le aziende confinanti ma tutto il bacino idrico); il transito di mezzi con cui si eseguono le lavorazioni; le perdite di granella durante la trebbiatura, rendono naturale la creazione e la diffusione di infestanti (come il riso crodo) resistenti agli erbicidi; poiché la mia azienda è molto frazionata io ho continuato a coltivare in modo tradizionale integrando i diserbi con lavorazioni meccaniche e manuali, purtroppo la maggior parte dei miei colleghi non l’ha pensata così.
Vedendo, inoltre, che i controlli erano formali da parte di BASF hanno iniziato a seminare per più anni i “Clearfield” nello stesso appezzamento, visto che due anni non erano sufficienti per debellare il crodo, in molti casi invece di fare i due trattamenti, indicati da BASF, ne fanno uno solo, anche per le problematiche prima descritte, conservando così il diserbo necessario per l’anno successivo in modo da poter reimpiegare il seme aziendale senza dare nell’occhio, così l’anno scorso BASF ha dovuto richiedere che fosse riammesso l’uso del Quincrolac perché il giavone, che da sempre è stato l’infestante più aggressivo in risaia, è diventato resistente al diserbante Beyond”.
Con comunicazione all’Associazione di categoria di appartenenza, questo risicoltore faceva ancora osservare: “Oggi ho fatto un giro con il tablet, come si potrà notare dalla foto c’è la risaia, che è andata in onda nel servizio di “Report”, dove per il quarto anno di seguito si è coltivato “Clearfield” contravvenendo alle indicazioni di BASF, ora le poche piante che ho segnalato sono diventate diverse chiazze sparse per tutto il campo nonostante siano stati fatti almeno tre trattamenti erbicidi contro il “giavone”… Ma questa è ormai la normalità… In certe situazioni perfino il “glifosato” risulta inefficace su questi giavoni che assomigliano, come vigore, alla sorghetta, tutto questo nel silenzio totale di organi di controllo, enti pubblici, verdi, non parlo delle organizzazioni agricole ed Ente Risi, che tutto quello che propongono è contro la buona risicoltura”.
In altre parole, quando il riso “Clearfield” fu introdotto in Italia (2006) si disse, come si è sopra accennato, che si trattava di una varietà convenzionale che nulla aveva a che fare con gli OGM e che il suo utilizzo in campo trovava una protezione “innocua” dalle erbe infestanti, come il riso crodo, tramite l’erbicida Beyond (a base di “Imazamox”).
Ma con il tempo ci si è accorti che l’infestante riso crodo aveva modificato i suoi caratteri di protezione divenendo anch’esso resistente a tale erbicida, dimostrando, con ciò, che la modifica genetica indotta dall’uomo risultava in tutto e per tutto simile a quella degli OGM.
Si è cercato di rimediare introducendo il riso “Provisia” (sempre ottenuto tramite mutagenesi) ricorrendo ad un nuovo erbicida: il “Verresta” (a base di “Cycloxydim”) per distruggere il riso crodo e i giavoni, ma sembra che questa resistenza si sia trasferita di nuovo al riso crodo e ai giavoni che si vogliono eliminare.
In concreto, i terreni sono inquinati e non si sa come venirne fuori se non moltiplicando gli erbicidi e gli esperimenti sempre a scapito del prodotto vegetale, del suolo e della loro salubrità, come, di conseguenza, della salute umana ed animale fruitori indiretti di simili veleni.
Aggiungasi che il GIRE (Gruppo Italiano di lavoro sulla Resistenza agli Erbicidi) suggerisce di variare le tecniche di semina e di impiegare la tecnica della falsa semina con l’applicazione del “glifosato”, usato come erbicida, micidiale per l’uomo, gli animali e l’ambiente, indispensabile nella coltivazione degli OGM ai quali si deve necessariamente associare se si vuole “proteggere” e “salvare” il vegetale irrorato, ma non sicuramente, si ripete, l’uomo, gli animali e la loro salute, come riconosciuto dalla stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2015, ma, inopinatamente, non dall’EFSA, organizzazione comunitaria posta a tutela della sicurezza alimentare, della salute umana ed animale, della salubrità dell’ambiente (ved., in tal senso, anche, “Leonardo”, Rai3, trasmissione televisiva delle ore 14,50 del 13.10.23).
Rilievi di ricercatori nazionali sui vegetali NGT, NBT e/o TEA
Fa rilevare, tra l’altro, il professor Pietro Perrino (già Dirigente di Ricerca del CNR), sugli OGM e prodotti analoghi (NBT, NGT e/o TEA), con nota del 2/5/2021, di risposta all’Associazione di consumatori “European Consumers”: “Le attuali conoscenze sul DNA ci danno la certezza che i geni non sono pezzi che possiamo spostare a nostro piacimento e soprattutto non possono essere brevettate da multinazionali per sfruttarle commercialmente. Si può brevettare qualcosa che garantisce una funzione costante in un tempo ragionevolmente lungo.
Se così non è il brevetto è falso. Gli OGM sono instabili, tanto che gli agricoltori devono ogni anno acquistare i semi.
Le colture geneticamente modificate non fanno aumentare la produzione o i redditi degli agricoltori, ma i costi di produzione con un maggior uso di prodotti chimici, venduti dalle stesse multinazionali che inquinano l’ambiente, con ricadute negative sulla salute, sulla biodiversità e sugli ecosistemi, con estinzione di specie e formazioni di superparassiti.
Che gli OGM non avrebbero permesso di ottenere i risultati previsti dalle multinazionali, e da alcuni scienziati, lo si sapeva da quando si capì che i geni non sono indipendenti ma lavorano insieme e con l’ambiente. Considerando che una componente dell’ambiente è il cibo, si comprende perché alla base di molte malattie ci sono le relazioni con l’ambiente e l’alimentazione. Abbiamo, dunque, bisogno di sistemi agricoli, alimentari ed energetici, sostenibili e non di sistemi agricoli industriali, inquinanti e che vogliono promuovere la coltivazione di OGM. La stessa epidemia COVID-19 può essere una conseguenza della manipolazione genetica eseguita dall’uomo nei laboratori e/o nei centri di ricerca, inclusi quelli che hanno l’obiettivo di produrre piante transgeniche, dal momento che nel loro genoma inseriscono pezzi di DNA di diversa origine.
Così in laboratorio si creano organismi geneticamente modificati (OGM) con genomi che hanno dei punti caldi alla ricombinazione e, quindi, con la possibilità di dare origine a nuovi microrganismi, tra cui nuovi virus….
Ciò detto… non possiamo escludere nella maniera più assoluta l’assenza di relazioni tra l’uso di OGM e l’origine di nuovi virus, tra cui SARS-COV-2.
La certezza di una relazione diretta può arrivare solo da analisi di laboratorio non ancora condotte”.
Avalla tutto quanto sopra precisato sugli OGM e sugli NBT, NGT e/o TEA, il professore emerito, nella Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, Salvatore Ceccarelli, per il quale:
“La principale debolezza degli OGM che portano un singolo gene di resistenza di un parassita specifico (malattia, insetto o infestante), è che essi ignorano un principio biologico fondamentale…
i funghi che causano malattie, gli insetti che mangiano le nostre colture, le infestanti che con loro competono, sono tutti organismi viventi e, come tali, sono variabili, si riproducono, mutano e si evolvono per adattarsi a nuove condizioni, come formalizzato nel Teorema Fondamentale della Selezione Naturale (TFSN)”. Ne deriva che “qualsiasi meccanismo di protezione contro un parassita delle colture, sia essa genetica o chimica, può essere descritto come instabile o stabile e gli OGM appartengono alla categoria delle soluzioni instabili al problema della protezione contro i parassiti ed è per questo che, nella migliore delle ipotesi, forniscono solo una soluzione temporanea, che a sua volta crea un nuovo problema (una razza resistente del parassita), che richiede una soluzione diversa (un nuovo OGM). Pertanto, l’introduzione di OGM in agricoltura avvia una reazione a catena della quale beneficia soltanto l’azienda produttrice di OGM”.
Ma (continua il professor Ceccarelli) “Oggi degli OGM sembra si parli sempre meno e si ha l’impressione che stiano passando rapidamente di moda anche perché chi vede nel modificare il DNA il futuro, è al presente molto più affascinato dalla tecnica del “gene editing” (letteralmente la “correzione dei geni”) nota anche come CRISPR-Cas 9.
Si tratta di una tecnica usata in natura dai batteri per difendersi dai virus, che permette di tagliare un pezzettino di DNA corrispondente ad un gene difettoso, o che comunque si vuole cambiare, e di sostituirlo con il pezzettino che corrisponde al gene corretto o a quello che è più desiderabile”.
“Ma anche se questa tecnica assicurasse la massima precisione, e non avesse conseguenze impreviste (o imprevedibili) e negative, rimarrebbero due problemi principali.
Il primo è che per i caratteri controllati da un solo gene – come resistenze a malattie, insetti ed erbe infestanti – si creerebbero degli organismi che pur non essendo tecnicamente degli OGM ne conservano tutti i difetti, perché, per il Teorema Fondamentale della Selezione Naturale citato, le resistenze conferite da singoli geni sono destinate a soccombere di fronte alla capacità di evolversi propria di quegli organismi (malattie, insetti ed erbe infestanti) che intendono controllare.
Il secondo, confermato anche dalla genetica molecolare, è quello che i caratteri importanti da un punto di vista economico sono tutti controllati da molti geni (per questo si dicono caratteri quantitativi), situati in punti diversi del nostro genoma cioè su cromosomi diversi. Questo ha ricevuto moltissime conferme proprio da ricerche biotecnologiche.
Per fare un esempio, il controllo genetico di tre resistenze importanti nell’orzo è molto complesso e legato a fattori genetici che sono localizzati su tutti i cromosomi, ammesso anche che la tecnica di “gene editing” sia molto precisa, dove dovremmo andare a tagliare?“
Anche Daniela Conti, in “Nuova Biologia”, il 7.5.2022 (ved. https://nuovabiologia.it/il-giardino-incantato-dellediting/ ) , così precisava:
“Il modello di miglioramento genetico fondato sul considerare un organismo come il prodotto unicamente di un DNA che è poco più della sommatoria di singoli geni e che funziona nel totale isolamento del suo ambiente, è stato dimostrato falso dalle recenti scoperte di genetica ed epigenetica.
Oggi la scienza ha accertato che il sistema genetico è costituito da DNA + RNA + proteine, che interagiscono tra loro e con l’ambiente.
Si tratta di passare da un modello meccanico e riduttivo a un modello sistemico e interattivo. Ogni singolo elemento – anche la proteina CAS 9 – non è riducibile né alla sequenza nel DNA, né alla sua funzione, in questo caso quella di tagliare il DNA. CAS 9 non è una macchina, né una “forbicina” da maneggiare sapientemente per ottenere ciò che si vuole. CAS 9, come qualunque altro elemento di un sistema vivente, è essa stessa un sistema che, momento per momento, ha la potenzialità di interagire con ogni atomo/segnale presente nel contesto in cui si trova. Credo legittimo supporre che l’imprevedibilità di CAS 9 (ma potrei dire anche del DNA) dipende proprio da questo”.
Pericolosità dei vegetali di “nuova mutagenesi” NGT, NBT e/o TEA, possibile connessione con il COVID-19. Loro sperimentazione in campo inaccettabile.
In proposito bisogna, ancora, aggiungere e chiarire che i mangimi con cui si nutrono in Italia e nella UE gli animali di alta e bassa corte, sono in gran parte vegetali GM che potrebbero essere fonte indiretta dell’attuale pandemia / endemia tramite il trasferimento genico orizzontale (TGO) che trasmette il virus e/o il batterio dal vegetale all’animale e dall’animale all’uomo con le carni con cui si nutre.
Trasferimento genico orizzontale (TGO), tra specie diverse, osservato e fotografato, di recente, da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Indiana USA (ved. rivista “Nature Microbiology”, 2018).
Una conferma, sempre indiretta, di tutto ciò la si può ricavare dal 12° “considerando” del Regolamento UE n. 1043/2020 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 luglio 2020, relativo all’esecuzione di sperimentazioni… per uso umano contenenti OGM o da essi costituiti e destinati alla cura o alla prevenzione della malattia da coronavirus (COVID-19) che ammette come possibile fonte di tale pandemia i vegetali GM utilizzati per produrre vaccini.
Recita, infatti, tale 12° “considerando” “La COVID-19 è una malattia complessa che incide su molti processi fisiologici. Potenziali trattamenti e vaccini sono attualmente in fase di sviluppo. Alcuni dei vaccini in fase di sviluppo contengono virus attenuati o vettori vivi, che possono rientrare nella definizione di OGM”.
In merito alla sperimentazione, questo Regolamento prevede, altresì, che: “lo sponsor (operatore del settore) non è tenuto a munirsi di autorizzazione scritta alcuna, dell’autorità competente, per l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM, ai fini di ricerca e sviluppo, per la creazione di medicinali e vaccini contenenti OGM, o da essi costituiti, destinati alla prevenzione o alla cura della malattia da coronavirus COVID-19” (ved. artt. 2 e 3 del Reg.to, cit.).
Tali disposizioni, in deroga alla Direttiva 2001/18/CE, si applicano, sempre per il Regolamento indicato, fino a quando “La COVID-19 sia dichiarata una pandemia dall’OMS oppure finché sarà applicabile un atto di esecuzione con il quale la Commissione UE riconosce una situazione di emergenza sanitaria pubblica dovuta al COVID-19, in conformità all’articolo 12 della decisione n. 1082/2013/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio” (art. 4, comma 1, del Reg.to, cit.).
In sostanza, risulta senza senso una sperimentazione in campo aperto che dura 18 mesi (di fatto 12 mesi e anche meno), stabilita con “decretazione di urgenza” in materia agraria in cui si debbono necessariamente considerare tempi lunghi per valutare i risultati e gli effetti di qualsivoglia coltivazione, come chiaramente richiesto dal più volte richiamato 17° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE che esige in capo al vegetale, modificato tramite “transgenesi”, “mutagenesi” e/o “cisgenesi”, la presenza di “una lunga tradizione di sicurezza”, presenza, si ripete, che 18 e/o 12 mesi di sperimentazione non potranno mai dimostrare, come chiarito anche dalle citate sentenze della Corte di Giustizia UE del 25 luglio 2018, C-528/16 e del 7 febbraio 2023, C-688/21, in relazione agli OGM parificati ai vegetali di “nuova mutagenesi” e/o “cisgenesi” compresi i vegetali “Clearfield”, modificati tramite “nuova mutagenesi”.
Aggiungasi che risulta, altresì, impossibile a queste sperimentazioni verificare l’impatto relativo all’inquinamento irreversibile delle aree agricole di cui al citato 4° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE, ovvero gli effetti sulla biodiversità, o sulla coesistenza, possibile o meno, di questi vegetali con quelli convenzionali e/o biologici, coesistenza, al presente, non ammessa ai sensi del D.Lgs 14 novembre 2016, n. 227 (di attuazione della Direttiva EU 2015/412 che modifica la Direttiva 2001/18/CE) e dalla sentenza n. 116 n. del 2006 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 8 della legge n. 5 del 2005 che recita: “per il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 1 (sulla coesistenza di OGM e non OGM) fino all’adozione dei singoli provvedimenti di cui all’articolo 4, le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono consentite”.
Questo articolo (con l’eccezione) è stato, si ripete, dichiarato incostituzionale dalla predetta sentenza.
Si può ritenere, in sostanza, aderendo all’indirizzo, in merito, della Corte Costituzionale (sentenza del 23 maggio 2007, n. 171) che la norma “intrusa”, da censurare sotto il profilo costituzionale (inserita nel decreto legge n. 39 del 2023 dal Parlamento in sede di conversione), ossia l’articolo 9bis, cit., si connota per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto legge in cui è aggiunta, mancando, tra l’altro, ogni motivazione congrua, ossia “l’urgenza” relativa al periodo di 18 mesi stabilito per sperimentazioni che dovrebbero durare diverse annate agrarie per poter valutare utilmente i relativi risultati, evidenziando, nel contempo, la medesima Corte (sent. del 16 febbraio 2012, n. 22), anche la presenza di un uso improprio del potere di conversione del Parlamento facendo venir meno la necessaria omogeneità della stessa legge di conversione rispetto al decreto-legge, ai sensi dell’articolo 77, c. 2, della Costituzione (ved., altresì, Corte Costituzionale, sent. 23 agosto 1988, n. 400). In proposito si ricorda che il Presidente della Repubblica dell’epoca, in data 29/3/2002, rinviò alle Camere il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4, contestando un’attinenza soltanto indiretta, alle disposizioni dell’atto originario, degli emendamenti aggiunti in sede di conversione, spezzando, con ciò, il nesso di interrelazione funzionale necessario tra il decreto legge e la legge di conversione, fatto presente, invano, da European Consumers all’attuale Presidente della Repubblica con esposto dell’8.6.2023, per quel che riguarda l’art. 9bis in questione.
Peraltro, ci si chiede come possa essere urgente una verifica e/o “una sperimentazione” dall’esito incerto (positivo o negativo), con un’azione (la sperimentazione in campo aperto) il cui danno all’ambiente e all’agricoltura è certo, tanto che lo stesso legislatore ha ritenuto necessario disporre (illegittimamente) non applicabile a tale sperimentazione (del citato art. 9 bis, c. 5°) il dettato dell’art. 8 commi 6 e 2 punto c), del D.lgs. n. 224/2003, ossia “la valutazione del rischio” per l’agrobiodiversità e per l’ambiente.
In sostanza, dare per scontato che queste modifiche, indotte artificialmente dall’uomo, siano innocue per la salute umana, animale e per l’ambiente, significa ritenere inutili le sperimentazioni stesse dato che i risultati si considerano benefici a prescindere. In altri termini, la sperimentazione si attiva proprio per compiere verifiche non per ritenere acquisito il risultato che potrebbe, al contrario, essere dannoso, si ripete, alla salute umana, animale e per l’ambiente.
Tanto più ove si consideri anche il dettato dell’articolo 26 quater, c. 3, del D.lgs 224/2003 “sulle misure che limitano o vietano la coltivazione di OGM sul territorio nazionale” (di attuazione della Direttiva 2001/18/CE) che nell’elencare, al comma 1, questi motivi che permettono tali divieti o limitazioni (tra cui, obiettivi di politica ambientale, pianificazione urbana e territoriale, uso del suolo, impatti socio economici, esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti, obiettivi di politica agricola, ordine pubblico), così dispone:
“Fatta eccezione per la motivazione prevista dal comma 1, lettera g (ordine pubblico)… le motivazioni di cui al comma 1 possono essere addotte… in ogni caso le misure di cui al comma 1 (sopra elencate n.d.r.) non devono contrastare con la valutazione del rischio ambientale effettuata ai sensi della Direttiva 2001/18/CE del presente decreto e del Regolamento CE n. 1829 del 2003”.
Competenza regionale in agricoltura disattesa. Controlli inesistenti.
Senza considerare, infine, il problema delle competenze regionali in agricoltura (artt. 117 e 120 Cost.) che vanno a confliggere con questa normativa nazionale (art. 9bis, cit.) la quale, di fatto, regola l’uso e la produttività delle stesse aree agricole regionali.
Quando, infatti, si ammette la sperimentazione in campo aperto di vegetali parificati agli OGM dalla Corte di Giustizia UE, si incide sull’uso di queste aree agricole, inquinandole, nel contempo, irreversibilmente e contravvenendo, con ciò, al dettato dei più volte richiamati 4° e 5° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE, che impongono, tra l’altro, come sopra rilevato, il rispetto del principio di precauzione, in relazione, soprattutto, al non ipotetico inquinamento irreversibile delle aree agricole, che gli OGM provocano impedendo che sulle stesse si possano, in futuro, coltivare vegetali convenzionali e/o biologici che crescerebbero, se ciò avvenisse, invariabilmente OGM (vegetali dominanti).
Problema, questo, che riguarda anche i vegetali NBT, NGT e/o TEA da parificare agli OGM quanto agli effetti in campo, come rilevato dalle citate sentenze della Corte di Giustizia UE e dai risultati concreti descritti, per quel che riguarda il riso “Clearfield”, modificato tramite “nuova mutagenesi” con intervento diretto umano sul suo DNA e sui suoi geni.
Ma problema, questo, dell’inquinamento irreversibile delle aree agricole, che non sembra sia stato considerato con la dovuta attenzione sia dalla Commissione UE con lo studio frettoloso relativo agli NGT (NBT e/o TEA), rimesso al Consiglio UE, in data 29 aprile 2021, che così, tra l’altro, conclude: “l’attuale legislazione dell’unione sugli OGM non è idonea a disciplinare le piante NGT ottenute mediante “mutagenesi” o “cisgenesi mirate” e i prodotti (compresi alimenti e mangimi) da essi derivati e che tale legislazione deve essere adattata alle esigenze scientifiche e tecniche e ai progressi in questo settore”, sia dalla “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio su piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche e sui loro alimenti e mangimi…”, del 5.7.2023, che, pur seguendo il parere indicato della Commissione UE, così nella relazione si esprime (pagina 5) “la presente proposta condivide gli obiettivi relativi all’agricoltura e alla produzione alimentare sostenibili con la normativa dell’Unione sulla produzione biologica (Regolamento UE 2018/848, sui prodotti biologici).
Il Regolamento sui prodotti biologici vieta l’uso di OGM e alimenti e mangimi geneticamente modificati nella produzione biologica. In base a questa proposta (del 5.7.2023), il divieto continua ad applicarsi a tutti gli impianti NGT e agli alimenti e mangimi che rientrano nel suo campo di applicazione. Ciò è coerente con il Regolamento sui prodotti biologici perché l’uso di nuove tecniche genomiche è incompatibile con l’attuale concetto di produzione biologica nel Regolamento UE 2018/848 e l’attuale percezione dei consumatori dei prodotti biologici”, affermando con questo, implicitamente, che tali NGT sono in grado di inquinare irreversibilmente questi prodotti biologici, ma, evidentemente, anche i prodotti convenzionali che sono coltivati da chi continua a rifiutare sia gli OGM che gli NGT (NBT e/o TEA), nel concreto considerato vittima sacrificale da immolare sull’altare della sperimentazione di massa, come è accaduto e sta avvenendo con i c.d. “vaccini” anti COVID-19, con il risultato, a tutti noto, di essere passati da uno stato di pandemia ad uno stato di endemia da trattare e “curare” come un qualsiasi vegetale GM e/o NGT, NBT e/o TEA, come le vicende del riso “Clearfield” hanno dimostrato per più di 18 anni di coltivazione in Italia, descritte ampiamente in premessa.
Né i consumatori sono mai stati interpellati e/o avvertiti in merito, tanto che hanno appreso che il riso “Clearfield”, ottenuto tramite “nuova mutagenesi”, era da parificare agli OGM, non dalla Commissione UE, né dal Parlamento UE, nè dal Consiglio UE, né, in Italia, dall’Ente Risi che svolgeva e svolge compiti di ricerca e tutela del prodotto e del consumatore, ma dalla Corte di Giustizia UE con le sentenze del 2018 e del 2023, cit..
Come, allora, credere ancora alla Commissione UE, al Parlamento UE, al Consiglio UE, all’EFSA se per tanto tempo non sono stati in grado di avvertire i consumatori di quanto stava accadendo?
Ad ogni buon conto in merito a questa protezione che, a livello comunitario, si intende, comunque, garantire da ogni inquinamento dei vegetali biologici (ma, si aggiunge, anche dei vegetali convenzionali) da parte dei vegetali NGT, NBT, e/o TEA, sembra opportuno rifarsi a quanto la Commissione UE, propose agli Stati membri, sotto forma di orientamenti non vincolanti, per impedire ogni inquinamento dei prodotti biologici e convenzionali da parte degli OGM (ora da parte degli NGT, NBT, e/o TEA) con la Raccomandazione del 23 luglio 2003 (2003/556/CE) e la Raccomandazione del 13 luglio 2010 (2010/C200/01) che, tra l’altro, così si esprimeva: “E’ riconosciuto che molti dei fattori determinanti, in questo contesto, variano in funzione delle condizioni nazionali, regionali e locali”.
“Di conseguenza, è opportuno che le misure per evitare la presenza involontaria di OGM (ora di NGT, NBT, e/o TEA) nelle colture convenzionali e biologiche siano stabilite a livello nazionale e talvolta regionale o locale” (punto 1.3 della citata Racc. del 13 luglio 2010).
In proposito, si deve ricordare che questa coesistenza sia del tutto impossibile in un territorio, come quello italiano, che da un punto di vista orografico presenta peculiarità che non permettono isolamenti colturali praticabili e sostenibili nel breve, medio e lungo periodo.
Questo comporta che viene meno, almeno per quel che riguarda il territorio nazionale, lo stesso presupposto su cui si fonda la coesistenza in itinere, ossia che sia possibile far coesistere le coltivazioni NGT, NBT, e/o TEA con le coltivazioni biologiche e convenzionali senza che le prime inquinino le seconde.
Quanto alla Raccomandazione della Commissione UE del 13 luglio 2010 (2010/C200/01) non entra nello specifico tecnico utile per attuare tale coesistenza.
Specifico tecnico indicato, invece, dalla precedente Raccomandazione del 2003, cit., abrogata da quella del 2010, cit., che, comunque, resta punto di riferimento valido per comprendere le operazioni che dovrebbe concretare l’imprenditore agricolo per non inquinare, ora con gli NGT, NBT, e/o TEA, l’ambiente circostante ovvero i vegetali biologici e convenzionali.
Queste operazioni sono tali e tante e così complesse che si resta sgomenti quando si pone mente alle misure necessarie per proteggere dagli NGT, NBT, e/o TEA non solo questa o quella Regione ma l’intero territorio agricolo nazionale. Esse, in particolare, riguardano:
1) la preparazione delle operazioni di semina, di impianto e di lavorazione del suolo, volte a:
– fissare le distanze di isolamento tra campi,
– creare zone cuscinetto,
– installare trappole e barriere per il polline,
– applicare sistemi di rotazione colturale,
– pianificare il ciclo di produzione vegetale,
– ridurre le dimensioni dello stock di sementi attraverso l’efficace lavorazione del terreno (evitare gli aratri a versoio dopo la raccolta della colza oleaginosa),
– gestire le popolazioni ai bordi degli appezzamenti ricorrendo anche all’uso di erbicidi selettivi o di tecniche integrate di lotta contro le piante infestanti,
– scegliere le date di semina ottimali,
– manipolare le sementi con attenzione, per evitare mescolanze, imballarle separatamente, etichettarle individualmente e conservarle in locali distinti,
– utilizzare varietà che producono poco polline,
– pulire le macchine seminatrici prima e dopo l’uso,
– combattere e distruggere le piante spontanee;
2) Il trasporto e il magazzinaggio, che devono:
– garantire la separazione fisica di colture NGT e non NGT dopo il raccolto e fino al punto di vendita,
– attuare sistemi adeguati per il magazzinaggio delle sementi,
– evitare perdite del raccolto durante il trasporto fino all’azienda.
Se, poi, si considerano i necessari controlli della P.A. nei confronti di 1 milione quasi di imprese agricole per il rispetto di queste operazioni al fine di impedire ogni infrazione ed ogni inquinamento, con pronta sanzione per chi sbaglia, ci si perde.
Tenendo conto, infatti, dell’oggetto del nostro esame, si può ritenere che a pagare sia solo chi sbaglia, o non piuttosto l’intera collettività e l’agricoltura convenzionale e biologica che, inquinato l’ambiente con vegetali dominanti, quali gli NGT, NBT, e/o TEA, non sarà più in grado di produrre vegetali biologici e convenzionali?
Ecco il vero danno. Irreparabile!
Nè si può ignorare il problema delle distanze tra fondi a coltivazione opposta (NGT e non NGT) che, comunque stabilite, andrebbero a privare del diritto di continuare a coltivare prodotti biologici e convenzionali non pochi agricoltori. In altri termini, ci si troverebbe di fronte a problemi giuridici e colturali insolubili.
Si prenda, ad esempio, la rotazione agraria annuale. Quale rotazione sarà possibile e a quali condizioni? Quale piano colturale realizzare e con quali modalità? Quali vincoli per i terreni limitrofi e a quali distanze? E per quanto tempo questi vincoli?
La Raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, abrogata, suggeriva addirittura la formazione di Catasti particolari e di Registri aziendali.
Insomma, un vero sconvolgimento produttivo del tutto ingestibile a fronte del nulla, ovvero di vantaggi inesistenti, come rilevato in più parti di questa memoria, prendendo a parametro il riso “Clearfield” che, quale NGT, la Corte di Giustizia UE con le sentenze, vincolanti, del 25 luglio 2018, C-528/16 e del 7 febbraio 2023, C-688/21 ha parificato, per gli effetti in campo, agli OGM.
Se, poi si considera il contenuto dell’art. 117 della Costituzione, si potrà notare come la materia della “ricerca scientifica e tecnologica (ivi compresa la sperimentazione) e sostegno all’innovazione per i settori produttivi (ivi compresi quelli agricoli)”, appartiene alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni e non a quella esclusiva dello Stato.
Risulta, pertanto, incomprensibile come sia stato possibile ritenere legittimo, sotto il profilo costituzionale, il dettato dell’art. 9 bis (della legge n. 68 del 2023) sulla sperimentazione in campo aperto dei vegetali NGT, NBT, e/o TEA, dopo averli considerati vegetali non GM (contrariamente a quanto rilevato dalle più volte richiamate sentenze vincolanti della Corte di Giustizia UE del 2018 e del 2023) e dopo aver disposto la non applicabilità dell’art. 8, commi 6 e 2, lett. c) del D.lgs, n. 224 del 2003, ossia che impone “la valutazione del rischio” per l’agrobiodiversità e per l’ambiente in contrasto eclatante con il principio di precauzione,di cui al 4°, 5°, 6° e 8° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE, ancora vigente e con molte leggi regionali in materia di ricerca in agricoltura, ivi compresa la legge n. 15 del 2006 e relativo regolamento (di attuazione della stessa) n. 15 del 2007, della Regione Lazio, il cui art. 2 (del citato regolamento) sulla sperimentazione in ambiente “chiuso e confinato” dei vegetali GM (da parificare, si ripete, per la Corte di Giustizia UE, cit, ai vegetali NGT, NBT, e/o TEA), così, al comma 1, dispone:
“1 – Ai fini dell’attuazione dell’art. 3, comma 1, della legge (n. 15), si definisce “ambiente chiuso e confinato” una struttura diversa dal laboratorio, di tipo permanente, dotata di pareti, tetto e pavimento progettata ed utilizzata per la coltivazione di piante, adottando specifiche misure di contenimento al fine di limitare il contatto dell’organismo transgenico con l’ambiente naturale ed evitare il trasferimento dei transgeni a microrganismi e piante sessualmente compatibili”.
Ora come sia, altresì, possibile collimare queste disposizioni regionali in tema di ricerca e sperimentazione con quella sperimentazione in campo aperto dei vegetali NGT, NBT e/o TEA (da parificare agli OGM quanto agli effetti in campo), di cui all’art. 9 bis, cit., è problema che il legislatore nazionale non si è posto, tanto più quando si rileva che il legislatore regionale ha sempre provveduto a rispettare, in simili materie, il principio di precauzione in aderenza alla normativa comunitaria, ivi compresi il 4°, 5°, 6° e 8° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE.
Se, infatti, si consulta l’art. 1 della legge regionale del Lazio n. 15 del 6 novembre 2006 (in materia di OGM) si potrà notare che lo stesso così specifica al comma 1:
“1 – La Regione, in applicazione del principio di precauzione e dell’azione preventiva di cui all’art. 174 del trattato della Comunità europea e dell’art. 26 bis della Direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, relativa all’emissione deliberata nell’ambiente di OGM… Tutela le risorse genetiche del territorio, nonché la qualità ed originalità della propria produzione agricola, promuove le azioni utili a prevenire i possibili danni per il sistema agricolo, per la salute umana e l’ambiente derivanti da coltivazione e allevamento di organismi geneticamente modificati e detta ulteriori disposizioni… per la ricerca in materia di OGM”.
In sostanza, avendo lo Stato invaso in forma eclatante, sostituendola completamente, la competenza delle Regioni in materia di ricerca (come in materia agricola) European Consumers insiste perché le Regioni medesime si attivino presso la Corte Costituzionale per far dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 9 bis della l. n. 68 del 2023, cit.
Ove ciò non dovesse accadere, non resta ai consumatori elettori l’opportunità di far valere le proprie gravissime ragioni proponendo un referendum abrogativo, del citato art. 9 bis della l. n. 68 del 2023 che, di fatto, assumerebbe anche la veste di un referendum consultivo sugli OGM e sui vegetali analoghi ovvero sugli NGT, NBT, e/o TEA.
Ciò chiarito sulla “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni, ex art. 117 della Costituzione, si deve ancora osservare che le proposte che stanno emergendo a livello comunitario (Commissione UE, Parlamento UE, Consiglio UE, EFSA) sembrano voler radicalmente modificare il dettato della Direttiva 2001/18/CE.
In particolare, secondo queste Istituzioni comunitarie e l’EFSA “non vi sono pericoli specifici legati a mutagenesi o cisgenesi mirate perché nella mutagenesi mirata, il potenziale di effetti indesiderati, come gli effetti fuori bersaglio, può essere significativamente ridotto rispetto alla transgenesi o all’allevamento convenzionale. Pertanto, a causa del modo in cui funzionano queste nuove tecniche, e rispetto alla transgenesi, potrebbe essere necessaria una minore quantità di dati per la valutazione del rischio di queste piante e dei prodotti che ne derivano” (ved. “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio su piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche e sui loro alimenti e mangimi”, pag. 2, pubblicata dalla Commissione UE in data 5.7.2023; ved. anche “Leonardo”, Rai 3, trasmissione TV delle ore 14,50 del 13.10.2023).
Queste Istituzioni, quindi, garantiscono che, con dette tecniche emergenti NGT, NBT, e/o TEA, rischi reali di danni all’agricoltura e all’ambiente non ce ne sono e che, dunque, si può procedere a sostituire il principio di precauzione con quello di equivalenza tra vegetali convenzionali e biologici e i vegetali modificati con le indicate tecniche e di superare la necessaria presenza di “una lunga tradizione di sicurezza” (di cui al 17º “considerando” della Direttiva 2001/18/CE) con il principio di proporzionalità, ossia che sono molto più elevati i benefici che tali tecniche apportano che i danni che ne possono derivare.
Queste le garanzie e le rassicurazioni dei citati Organismi in merito.
Ma l’EFSA (che si è associata a queste proposizioni comunitarie) con sede a Parma, dove era quando, a poca distanza dalla sede centrale medesima, si coltivavano e si coltivano vegetali “Clearfield”, ovvero il riso “Clearfield” con i risultati sopra descritti? Risultati, si ripete, rilevati dalla Corte di Giustizia UE ma non dai citati Organismi che, senza fondarsi su studi di incerta affidabilità, avrebbero potuto, tramite l’invio di propri funzionari, valutare direttamente in campo la realtà.
Se questi Organismi di tutto ciò non si sono accorti, come possono ora garantire la fondatezza di quanto affermano, e sostenere l’opportunità di sostituire il principio di precauzione con quello di equivalenza ed introdurre il principio di proporzionalità stante l’utilità maggiore che ne deriverebbe all’agricoltore e al consumatore?
Pericolosità del “glifosato” diserbante micidiale ancora ammesso
Ma queste garanzie e rassicurazioni delle citate Istituzioni sono intervenute anche riguardo al “glifosato”, l’uso “lecito” del quale è stato prorogato ancora una volta, a livello comunitario, per ben 10 anni dal Regolamento di esecuzione (UE) 2023/2660 della Commissione del 28 novembre 2023 che ne ha rinnovata l’approvazione, in conformità al Regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che modifica il Regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 della Commissione stessa.
Glifosato la cui nocività per la salute umana ed animale, per l’ambiente e gli ecosistemi, è ben nota da anni.
Tutte queste evidenze negative non sono rimaste confinate negli ambienti scientifici, ma hanno investito duramente l’agricoltura di molti paesi, USA compresi dove molti giudizi, in merito agli effetti dannosi del glifosato, sulla salute umana ed animale, sull’ambiente e gli ecosistemi, si sono conclusi con condanne pesantissime.
Si è arrivati addirittura a risarcire quattro querelanti, nel 2023, con oltre 1,5 miliardi di dollari (ved. “Il Fatto Alimentare” del 27 novembre 2023).
Ora non si comprende come il “glifosato” risulti dannoso negli USA dopo accertamento giudiziario di prove e fatti, dedotti in giudizio, ma non in Europa perché così garantisce l’EFSA, la cui attenzione e credibilità lascia molto a desiderare, come in precedenza rilevato.
Nè speranza alcuna di un cambiamento a breve (della Commissione e dell’EFSA) possono offrirci il dettato degli artt. 20 e 21 del Reg. n. 1107/2009, cit., richiamato dal Regolamento della Commissione 2023/2660, cit. (per i quali “Qualora l’approvazione della sostanza attiva [nel nostro caso il glifosato] sia revocata, oppure non sia rinnovata a causa di preoccupazioni immediate per la salute umana o animale o per l’ambiente, i prodotti fitosanitari in questione sono immediatamente ritirati dal mercato, ved. art. 20, par. 2, Reg. 1107/2009, cit., e “In qualunque momento la Commissione può riesaminare l’approvazione di una sostanza attiva, ved. art. 21, par.1, Reg. 1107/2009, cit.), ove si consideri il contenuto del 30° “considerando” del Regolamento della Commissione 2023/2660, cit. che recita “Dal 2012 il glifosato è stato oggetto di due valutazioni globali che non hanno individuato preoccupazioni indicanti che i criteri di approvazione di cui al regolamento (CE) n. 1107/2009 non siano soddisfatti. Non ci si può dunque attendere che a breve termine si accumulino sufficienti nuove informazioni in grado di condurre a un esito diverso. Al contempo si osserva che la ricerca sul glifosato si è intensificata negli ultimi anni e che potrebbero emergere nuove conoscenze sulle proprietà del glifosato rilevanti per la protezione della salute umana e dell’ambiente. Al fine di tenere conto di tali considerazioni, è opportuno prevedere un rinnovo dell’approvazione del glifosato per un periodo di 10 anni. L’approvazione della sostanza attiva può inoltre essere riesaminata in qualsiasi momento a norma dell’articolo 21 del regolamento (CE) n. 1107/2009”.
In altre parole, per la Commissione, al presente, non ci sono prove concrete sulla nocività del glifosato il cui uso va pertanto prorogato non per 1 o 2 anni ma per 10 anni (!), con buona pace della sopra richiamata prudenza, delle prove giudiziarie accolte in senso contrario, degli innumerevoli studi scientifici indipendenti che dimostrano la rilevante tossicità del glifosato.
In proposito sarà sufficiente riportare quanto il fitopatologo Don Huber, professore emerito alla Purdue University (ancora attivo nell’ambito della ricerca) scrisse al Segretario per l’Agricoltura USA, Tom Vilsack, il 16 gennaio 2011 (ved. la rivista “Nexus”, New Time n. 107, vol. VI, dic. 2013/gen. 2014), anche, al presente, Segretario per l’Agricoltura USA nel Governo Biden, che facendo riferimento al “glifosato” così, tra l’altro, si esprime:
“Egregio Segretario Vilsack, una équipe di autorevoli scienziati esperti in piante e animali ha recentemente portato alla mia attenzione la scoperta di un agente patogeno, visibile solo al microscopio elettronico, che appare altamente nocivo per la salute delle piante, degli animali e probabilmente degli esseri umani. In base all’analisi dei dati disponibili, il patogeno è diffuso, molto pericoloso e si trova in concentrazioni elevate soprattutto nella soia e nel mais Roundup Ready (R.R.), il che suggerisce un legame con il gene RR o più plausibilmente con la presenza di Roundup. Questo organismo appare nuovo per la scienza…
È stato trovato in concentrazioni elevate nei mangimi di soia e mais Roundup Ready, nelle borlande, nei mangimi fermentati, all’interno dello stomaco dei suini e nella placenta di suini e bovini…
Per esempio, 450 su 1000 giovenche da latte alimentate con l’insilato di frumento hanno avuto aborti spontanei. Nello stesso periodo, fra altre 1000 giovenche della stessa mandria, nutrite con fieno, non ci sono stati aborti. Sono state confermate elevate concentrazioni del patogeno nell’insilato di frumento, su cui presumibilmente sono stati usati i diserbanti al “glifosato”…
Riepilogando… è urgente esaminare se gli effetti collaterali dell’uso del “glifosato” possono aver facilitato la crescita di questo patogeno o aver aggravato i danni alle piante o animali ospiti indeboliti. E’ ben documentato che il “glifosato” promuova i patogeni del suolo, ed è già stato implicato nella diffusione di oltre 40 tipologie di malattie delle piante, di cui smantella le difese attraverso la chelazione dei nutrienti vitali, e riduce la biodisponibilità dei nutrienti nei mangimi, il che a sua volta può causare disturbi negli animali. Per valutare correttamente questi fattori, richiediamo l’accesso ai dati pertinenti in possesso dell’USDA (Ministero dell’Agricoltura USA)”.
Danno irreversibile ai vegetali biologici, convenzionali e alla biodiversità. Eccesso di delega
Peraltro, con le sperimentazioni in campo aperto di questi vegetali NGT, NBT e/o TEA, parificati agli OGM dalle più volte richiamate sentenze della Corte di Giustizia UE del 2018 e del 2023, non solo si inquinano le aree agricole irreversibilmente e si azzerano le colture biologiche e convenzionali, ma si travolge anche la biodiversità dei vegetali. Lo stesso nostro Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF), nel presentare il “Piano sulla biodiversità di interesse agricolo”, il 14 febbraio 2008, a pagina 10 del medesimo, con preoccupazione osservava: “Un ulteriore problema per la conservazione della biodiversità è rappresentato dall’introduzione nell’ambiente degli organismi geneticamente modificati con il rischio di inquinamento genetico di specie naturali, di trasmissione ad erbe infestanti della resistenza agli erbicidi, di evoluzione di parassiti più resistenti, di permanenza di tossine nel terreno, di aumento dell’uso di erbicidi, di scomparsa di alcune specie di insetti, di riduzione della biodiversità.
Le conseguenze della perdita di biodiversità riguardano non solo la qualità della vita, ma la possibilità della vita sul pianeta terra, in quanto la variabilità genetica una volta perduta, non è più recuperabile sia per le presenti che per le future generazioni”.
Come si noterà, tutto quanto osservato in questo “Piano sulla biodiversità” dal MiPAAF nel 2008 è una descrizione fedele del contenuto dei nuovi articoli 9 e 41 della Costituzione Italiana, approvati dal Parlamento con legge costituzionale dell’11 febbraio 2022, n. 1 (entrata in vigore il 9 marzo 2022; ved. G.U. del 22.2.22, s.g. n. 44) che recita:
“Art. 1 – 1. All’art. 9 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma: “La Repubblica… tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Art. 2 – 1. All’art. 41 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) al secondo comma, dopo la parola “danno” sono inserite le seguenti: “alla salute, all’ambiente”; b) al terzo comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “e ambientali”.
E’ evidente che al legislatore, quando ha approvato l’art. 9bis, cit. sulla coltivazione in campo aperto, a fini sperimentali, dei citati vegetali NGT, NBT e/o TEA, parificati agli OGM, è “sfuggito” il nuovo dettato di questi articoli 9 e 41 della Costituzione che, ictu oculi, risulta illegittimo sotto il profilo costituzionale.
Ma, al presente, anche allo stesso Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, è “sfuggito” il contenuto del richiamato “Piano sulla biodiversità” del 2008, quando nei D.Lgs. 18 e 20 del 2021, contenenti Testi Unici della legislazione sulla vite, le piante da frutto e le ortive, le sementi (pubblicati nelle G.U. del 23, 25 e 27 febbraio 2021) ha reintrodotto la possibilità, a certe condizioni, di coltivare vegetali GM sul suolo nazionale, consumando un chiaro eccesso di delega di cui all’articolo 11 della L. n. 117 del 2019, rivolta a raccogliere, in appositi Testi Unici, tutte le norme vigenti in materia di sementi, di materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e delle ortive e dei materiali di moltiplicazione della vite, divise per settori omogenei.
In particolare, il Parlamento, nel rilasciare al Governo, sullo schema dei D.Lgs. esaminati, un parere condizionato così, tra l’altro, precisava (ved. Atti Commissione XIII Agricoltura, Camera dei Deputati, del 13.1.2023):
“Ritenuto che:
La Direttiva UE 2015/412, che modifica la direttiva 2001/18/CE, è stata recepita in Italia attraverso il decreto legislativo 14 novembre 2016, n. 227, che, nel modificare il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, sancisce il divieto di coltivazione di tutte le varietà transgeniche in Italia autorizzate o in corso di autorizzazione (articoli 26-bis e 26-ter);
lo schema di decreto legislativo in esame, nella parte in cui richiama, in via diretta o indiretta, gli OGM, appare, pertanto, non coerente con il quadro normativo di riferimento, dove vige il generale divieto di sperimentazione e coltivazione di piante geneticamente modificate in campo aperto;
in ragione di tale divieto, non esiste alcuna norma che disciplini la coesistenza tra le produzioni agricole presenti sul territorio nazionale, in particolare quelle biologiche, per le quali è vietata la presenza di OGM, e la coltivazione di prodotti geneticamente modificati;
il provvedimento appare altresì in netto contrasto sia con le disposizioni della legge 1° dicembre 2015, n. 194 in materia di tutela e di valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, sia con quelle della già richiamata legge n. 101 del 6 aprile 2004, che reca la ratifica ed esecuzione del «Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura», oltre che non in linea con gli indirizzi dell’Unione europea relativi alla sostenibilità ambientale del sistema agricolo («Green New Deal», «Strategia sulla Biodiversità per il 2030») e alla sicurezza dei prodotti alimentari («Farm to Fork»);
Ritenuto, altresì, che:
il divieto di coltivazione degli OGM deve ritenersi esteso, coerentemente alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 25 luglio 2018, anche ai prodotti ottenuti mediante l’impiego di “nuove tecniche di miglioramento genico” (New breeding techniques – NBT) o genome editing, in considerazione degli elevati rischi per l’ambiente e la salute umana;
considerato, infine, che:
l’inserimento, nello schema, di decreto legislativo in esame, di disposizioni inerenti gli OGM appare non coerente con i principi e i criteri direttivi contenuti nell’articolo 11, comma 1, della legge di delega sopra richiamata (n. 117 del 2019), dove non si fa riferimento alcuno alla necessità di disciplinare gli organismi geneticamente modificati…”
Tanto premesso
la Commissione esprime parere favorevole con le seguenti condizioni:
1) all’articolo 1 siano apportate le seguenti modificazioni: a) sia introdotta una disposizione volta ad escludere espressamente dal perimetro di applicazione del provvedimento gli organismi geneticamente modificati (OGM)…
2) conseguentemente
siano soppressi negli artt. 3, 5, 7, 10, 11, 14, 17, 35, 38, 44, 74, 81 il…”. (sugli OGM).
“Notazioni/ingiunzioni” similari sono ripetute per gli altri schemi sulle piante da frutto e delle ortive, e sulla vite, divenuti, poi, D.Lgs. nn. 20, 18 e 16 del 2021, cit.
Il Governo dava seguito a questi inviti del Parlamento, con gli articoli 1 dei richiamati D.lgs., statuendo: “Il presente decreto non si applica ai prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate…” (articolo 1, comma 2, D.lgs n. 20/21);
“Il presente decreto non si applica alle varietà geneticamente modificate” (articolo 1, comma 6, D.lgs. n. 18/21), e similmente per il D.lgs. n. 16/21, che, all’articolo 1, comma 3, recita “il presente decreto non si applica alle varietà di viti geneticamente modificate”.
Ma, inopinatamente, il medesimo Governo introduceva negli stessi D.lgs. un articolo 87, con cui regolava compiutamente la produzione e coltivazione dei richiamati OGM, come se si trattasse di varietà ammesse e registrabili e non avesse dichiarato e disposto, negli articoli 1 in parola, che questi D.lgs. non riguardavano, nè regolavano gli OGM.
Che dire? Si resta sgomenti di fronte a simili comportamenti che ignorano le più elementari regole di correttezza e di rispetto degli interessi collettivi e dei cittadini, rappresentati dal Parlamento, tanto più quando si è modificata dallo stesso Governo la dizione “Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali” in “Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste” per rimarcare, in merito, la sovranità primaria dei medesimi su ogni altro interesse di gruppi nazionali ed internazionali e il contenuto dell’art. 1 della Costituzione per il quale: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Ciò precisato, sembra opportuno richiamare il dettato dell’art. 76 della Costituzione per il quale: “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Su questi principi e criteri direttivi e sulla definizione dell’oggetto il Parlamento ha ribadito per tutti i D.lgs. n. 16, 18 e 20 del 2021, cit, come già osservato, che “l’inserimento, nello schema di decreto legislativo in esame, di disposizioni inerenti gli OGM appare non coerente con i principi e i criteri contenuti nell’articolo 11, comma 1, della legge di delega sopra richiamata (n. 117 del 2019) dove non si fa riferimento alcuno alla necessità di disciplinare gli organismi geneticamente modificati”. Ma una volta disattesa questa sollecitazione del Parlamento, i citati D.lgs. hanno superato la delega anche sui principi e i criteri direttivi contenuti nel comma 3°, lett. c), del richiamato articolo 11, per il quale: “il Governo è tenuto… c) alla risoluzione di eventuali incongruenze e antinomie tenendo conto degli orientamenti giurisprudenziali consolidati”.
Ci si domanda: l’art. 87 dei D.lgs. menzionati risponde a questi criteri, è privo di contraddizioni insanabili e/o inconciliabili, ad esempio, con l’articolo 1 degli stessi decreti, è in linea con il contenuto delle sentenze, vincolanti, della Corte di Giustizia UE in merito, del 25 luglio 2018, C-528/16 e 7 febbraio 2023, C-688/21 che, implicitamente, avallano il divieto di molti Stati UE, compresa l’Italia, di coltivare OGM e vegetali analoghi, quali NGT, NBT e/o TEA?
Ma il Parlamento, con il 3° comma, lett. b), dell’art. 11, cit., ha delegato il Governo anche al “coordinamento delle disposizioni vigenti in materia, apportando le modifiche necessarie per garantirne la coerenza giuridica, logica e sistematica e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo”.
Di tutto ciò non c’è traccia nell’art. 87 dei citati D.lgs., nn. 18 e 20 del 2021 rendendo evidente l’eccesso di delega consumato dal Governo che comporta la dichiarazione di incostituzionalità, della parte dei decreti che eccede i criteri e i principi direttivi contenuti nella legge di delega (art. 11, l. n. 117/2019), ivi compresi i più volte indicati artt. 87 dei D.lgs. n. 18 e 20, pubblicati nella G.U. del 25, 27 febbraio 2021 (s.g., supplemento ordinario).
Antibiotici: loro efficacia bloccata dagli OGM
Si deve, ancora, aggiungere sugli OGM, reintrodotti, come rilevato, surrettiziamente dal Governo (contro il parere del Parlamento), nei T.U. citati che, ai sensi del 22° “considerando” della Direttiva 2001/18/CE, “è opportuno tenere particolarmente conto della questione dei geni della resistenza agli antibiotici nell’effettuare la valutazione del rischio degli OGM contenenti siffatti geni”.
Intervistato il prof. Pietro Perrino (già Dirigente di Ricerca del CNR) sul “Perché no agli OGM”, così si esprimeva:
“Si può rispondere in poche parole, gli OGM sono inutili e dannosi. Inutili perché, come dimostrano i dati, non è vero che gli OGM producono più delle colture convenzionali (biologiche e non) e, quindi, non è vero che sono necessari per sfamare il mondo. Dannosi perché, come ampiamente dimostrato dalla letteratura (deliberatamente ignorata o elusa) determinano disturbi fisiologici e neoplasie negli animali alimentati con cibi transgenici (OGM), senza parlare della diffusione della resistenza agli antibiotici, in quanto il DNA transgenico reca con sé DNA resistente agli antibiotici, che i produttori di OGM sono costretti ad inserire per riconoscere in laboratorio le cellule realmente trasformate, cioè quelle resistenti all’antibiotico.
Senza questo marcatore non riuscirebbero ad individuare le poche cellule trasformate, su milioni di cellule trattate… Questo significa che il DNA transgenico contenuto nei prodotti animali arriva anche nel corpo degli esseri umani che mangiano tali prodotti.
Certo (continuava il prof. Perrino) è duro accettare il fatto che istituzioni come la FDA (Food and Drug Administration) e l’EFSA (European and Food Security Administration), create per sorvegliare sulla sicurezza alimentare, spesso e volentieri approvano l’introduzione, la coltivazione e l’uso degli OGM… È un vero problema di sanità pubblica ignorato anche dai Ministeri che dovrebbero occuparsi della nostra salute”.
Sul punto, studi (2010-2012) del prof. Infascelli, dell’Università Federico Il di Napoli, hanno documentato l’imprevisto e inquietante passaggio del DNA transgenico attraverso il tratto digestivo gastrointestinale di capre gravide, con successivo riscontro nel latte e poi nei tessuti dei capretti allattati (secondo transito intestinale superato dal DNA transgenico). Risultati scientifici incontestati, ripetibili, che evidenziano pericoli gravissimi e permanenti ove il transgene codificante si integrasse nel genoma degli esseri umani, adulti o bambini, mortali nel tempo, concretando un rischio reale di genocidio.
Aggiungasi che la stessa G.U. (ser. gen. del 15/5/2012, n. 111, pag. 18), nel pubblicare il D.M. di ammissione dell’uso del Basta 200 (erbicida totale ad azione fogliare) contenente glifosinate ammonio puro, ne elenca i rischi: “H360Fd può nuocere alla fertilità. Sospettato di nuocere al feto. H373 può provocare danni agli organi (sistema nervoso) in caso di esposizione prolungata o ripetuta se ingerita”.
Conclusioni
Da tutto quanto precede si può fondatamente affermare che gli OGM e assimilati (NGT, NBT, e/o TEA) e i loro effetti devastanti sulla salute umana ed animale, sulla integrità e salubrità dell’ambiente e delle aree agricole non sono ipotesi di lavoro inconsistenti, ma realtà concrete già verificate da tenere, come tali, in seria considerazione, senza ignorarle o negarle, prima di raggiungere il punto di non ritorno ovvero l’inquinamento irreversibile dei suoli e la perdita di quella credibilità e qualità dei prodotti agricoli nazionali così apprezzati in ogni dove, anche, e soprattutto, a livello internazionale.
In tempi molto tristi si è affermato in passato, da profeti inascoltati, “con la pace nulla è perduto, con la guerra tutto può esserlo”.
Similmente ora, per mantenere integra la nostra sovranità alimentare (tanto decantata) che nessun trattato di pace ha limitato, si può affermare:
con il “convenzionale” ed il “biologico” nulla è perduto, con la “transgenesi” (OGM), la “cisgenesi” “la nuova mutagenesi” (NGT, NBT e/o TEA) tutto può esserlo”.
In altre parole, siamo in presenza di un dialogo tra sordi in cui nessuno ha il potere di imporre la propria scelta se non il consumatore elettore e il popolo al quale appartiene la sovranità (ex art. 1 della Costituzione) che, finalmente, dovrebbe essere interpellato direttamente sul da farsi, tenendo conto che la materia considerata non è cosa opinabile e o di natura politica, ma realtà vitale per l’esistere quotidiano delle presenti e delle future generazioni, ovvero il cibo e l’ambiente, rendendo improponibile ogni offerto compromesso in merito.
Ciò considerato, di fronte alla persistente e generalizzata inerzia delle diverse organizzazioni di cittadini e alle resistenze insuperabili di gruppi esigui ma potenti ad ogni livello nazionale, comunitario e internazionale, European Consumers propone di far valere le ragioni dei consumatori elettori tramite l’indizione di un referendum abrogativo (ex art. 75 della Costituzione) dell’art. 9bis della l. n. 68 del 2023, e degli articoli 87 dei D.lgs. nn. 18 e 20 del 2021 nella parte in cui reintroducono la disciplina degli OGM in aperto ed insanabile contrasto con l’art. 1 dei medesimi D.lgs. nn. 18 e 20.
- LEGGE 13 giugno 2023 n. 68
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 aprile 2023, n. 39, recante disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche. (23G00079) (GU Serie Generale n.136 del 13-06-2023)
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
- Il decreto-legge 14 aprile 2023, n. 39, recante disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
- La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 13 giugno 2023
MATTARELLA
Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il Guardasigilli: Nordio
ALLEGATO
(Omissis)
Dopo l’articolo 9 è inserito il seguente:
«Art. 9bis (Disposizioni urgenti in materia di genetica agraria). –
- 1. Per consentire lo svolgimento delle attività di ricerca presso siti sperimentali autorizzati, a sostegno di produzioni vegetali in grado di rispondere in maniera adeguata a condizioni di scarsità idrica e in presenza di stress ambientali e biotici di particolare intensità, nelle more dell’adozione, da parte dell’Unione europea, di una disciplina organica in materia, l’autorizzazione all’emissione deliberata nell’ambiente di organismi prodotti con tecniche di editing genomico mediante mutagenesi sito-diretta o di cisgenesi a fini sperimentali e scientifici è soggetta, fino al 31 dicembre 2024, alle disposizioni di cui al presente articolo.
- La richiesta di autorizzazione è notificata all’autorità nazionale competente di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224. L’autorità nazionale competente, entro dieci giorni dal ricevimento della notifica, effettuata l’istruttoria preliminare di cui all’articolo 5, comma 2, lettera a), del medesimo decreto legislativo, trasmette copia della notifica al Ministero della salute, al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e a ogni regione e provincia autonoma interessata. L’autorità nazionale competente invia copia della notifica all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che svolge i compiti della soppressa Commissione interministeriale di valutazione di cui all’articolo 6 del citato decreto legislativo n. 224 del 2003. L’ISPRA, entro i successivi quarantacinque giorni, effettua la valutazione della richiesta ed esprime il proprio parere all’autorità nazionale competente e alle altre amministrazioni interessate. Entro dieci giorni dal ricevimento del parere dell’ISPRA, l’autorità nazionale competente adotta il provvedimento autorizzatorio. Dell’esito della procedura è data comunicazione alle regioni e alle province autonome interessate.
- Per ogni eventuale successiva richiesta di autorizzazione riguardante l’emissione di un medesimo organismo, già autorizzato nell’ambito di un medesimo progetto di ricerca, è ammesso il riferimento a dati forniti in notifiche precedenti o ai risultati relativi a emissioni precedenti.
- All’esito di ciascuna emissione e alle scadenze eventualmente fissate nel provvedimento di autorizzazione di cui al comma 2, il soggetto notificante trasmette una relazione al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, che adottano un parere relativo ai risultati della sperimentazione da inoltrare al soggetto notificante e alle regioni e alle province autonome interessate.
- Per l’autorizzazione all’emissione deliberata nell’ambiente di organismi prodotti con tecniche di editing genomico mediante mutagenesi sito-diretta o di cisgenesi a fini sperimentali e scientifici di cui al presente articolo non si applica quanto previsto dall’articolo 8, commi 2, lettera c), e 6, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224.
- Alle disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 14, 32, 33, commi 1 e 4, e 34 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224.
- Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
MESSA IN GUARDIA CONTRO IL PERICOLO DEGLI OGM, E DEI VEGETALI AGLI STESSI ASSIMILABILI, FIN DAI PRIMI ANNI 2000 DA PARTE DELLE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA.
Capitolo II
Premessa
Nel capitolo precedente sono state evidenziate le ultime vicende relative alla produzione e sperimentazione, in campo aperto, degli OGM e dei vegetali agli stessi assimilabili, ossia gli NGT, NBT e/o TEA secondo quanto, in merito, chiarito dalle sentenze della Corte di Giustizia UE del 25 luglio 2018, C-528/16 e del 7 febbraio 2023, C-688/21 (vincolanti per gli Stati comunitari).
Con la documentazione che segue ci sembra opportuno far notare, per completezza, come gli eventi nefasti in precedenza descritti siano stati previsti già da molti anni tenendo conto delle esperienze nazionali (sul riso “Clearfield” vegetale di “nuova mutagenesi”) e di quelle estere sugli OGM.
Ora si ripropone, a livello comunitario, il problema della coesistenza tra vegetali NGT, NBT e/o TEA (da assimilare, si ripete, agli OGM) e vegetali convenzionali e biologici, coltivazioni, queste ultime, che, comunque, si vogliono salvaguardare e proteggere da ogni inquinamento da parte dei primi, ai sensi del Regolamento UE, n. 2018/848.
Salvaguardia impossibile ove si consideri l’orografia dell’Italia e il carattere dominante dei citati vegetali, modificati geneticamente per intervento diretto dell’uomo, che, privi di quella lunga tradizione di sicurezza e stabilità, richiesta agli stessi dal 17° “considerando” della Direttiva n. 2001/18/CE, andrebbero a sovvertire definitivamente ed irreversibilmente l’intero assetto agricolo/ambientale nazionale ad esclusivo vantaggio di chi vorrebbe colpire irrimediabilmente, a livello mondiale, il buon nome, la credibilità e la qualità della produzione agricola italiana.
In concreto, se si può ancora parlare di tale qualità e di detto buon nome, di questa produzione, non lo si deve certo agli OGM e/o agli NGT, NBT e/o TEA, ma solo alla produzione convenzionale e biologica mantenuta e curata con costanza e passione dai nostri coltivatori e agricoltori nel corso dei passati millenni.
In altre parole, non vorremmo trovarci, in un non troppo lontano futuro, di fronte ad una lapide con un epitaffio, riferito all’agricoltura nazionale, del seguente tenore:
“Stava bene, per star meglio qui giace”.
In sostanza, il pericolo paventato, in merito, negli anni trascorsi, divenuto, purtroppo, in gran parte realtà, sia monito per non seguire, con pervicacia insensata, a livello nazionale la stessa strada, siamo ancora in tempo. Sbagliare è umano perseverare è diabolico.
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DEI MERCATI DELLE SEMENTI E DEGLI AGROFARMACI
(omissis)
Camera dei deputati – Commissione XIII – Seduta di mercoledì 13 luglio 2011 –
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO
(omissis)
Audizione dei rappresentanti dell’Associazione sementieri mediterranei (Asseme).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci, l’audizione dei rappresentanti dell’Associazione sementieri mediterranei (Asseme).
Sono presenti Roberto Angileri, costitutore settore grano duro e consigliere dell’Asseme, in rappresentanza del Presidente Scelfo, Silvestro Murtas, costitutore e operatore sementiero nel settore riso e socio Asseme, ed Enrico Lucconi rappresentante dell’Asseme.
Do subito la parola agli auditi. Al loro intervento potranno far seguito eventuali domande da parte dei colleghi.
ENRICO LUCCONI, Rappresentante dell’Associazione sementieri mediterranei, Asseme (in qualità, all’epoca, di Direttore Centrale della stessa, n. d. r.).
Grazie presidente. Mi accingo a svolgere la mia relazione, ringraziando dell’invito che ci avete rivolto.
Riteniamo nostro dovere, come Asseme, Associazione sementieri mediterranei di Roma, in rappresentanza della categoria dei sementieri e dei costitutori italiani, informare con obiettività la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati sulla situazione del mercato delle sementi e degli agrofarmaci e sulla loro sostenibile qualità, al fine di contribuire all’indagine conoscitiva in atto.
Contrarietà agli OGM dell’Asseme
Ci riferiamo, in particolare, al fatto che Asseme è l’unica associazione di categoria radicalmente contraria all’introduzione e alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati (OGM) sul territorio nazionale, non potendosi comprendere come la qualità, la quantità, l’integrità, la propagazione e il miglioramento dei nostri vegetali convenzionali e biologici possano coesistere con la coltivazione degli OGM, ossia di vegetali che, introdotti nell’ambiente, inquinano irreversibilmente le aree agricole, senza restituire al produttore, al coltivatore, al costitutore, al sementiero e al consumatore vantaggi di sorta, né in termini economici, né in termini agronomici e ambientali.
Signor presidente, come associazione seguiamo la nostra attività sementiera con il sistema della tecnica della riproduzione tradizionale, con incroci di tipo mendeliano. Per questo motivo ci siamo permessi di annunciare questa posizione.
In concreto, risulterebbe inutile ogni indagine sulla situazione nazionale del mercato delle sementi e degli agrofarmaci se non si ponesse come premessa imprescindibile la salvaguardia del territorio italiano dagli OGM, che, al di là di ogni altra considerazione, oltre a inquinare le aree e ad azzerare la biodiversità vegetale, minerebbero alla radice la buona fama della nostra produzione agricola di qualità convenzionale e biologica, sementi comprese.
Non è una preoccupazione fuori tema, se si pensa che nel 2005 il Governo allora in carica fu capace di emanare addirittura un decreto-legge con cui si permetteva la coltivazione a cielo aperto di tutti i vegetali geneticamente modificati, grano compreso.
Solo l’intervento responsabile della Corte costituzionale ha evitato il disastro. Infatti, se essa non fosse intervenuta, non saremmo qui a parlare di mercato nazionale delle sementi, perché le multinazionali di turno nel settore avrebbero provveduto a monopolizzarlo di fatto.
Se i sementieri e i costitutori italiani possono ancora intervenire per quanto riguarda la ricerca e la produzione di sementi, anche in campo internazionale, è perché il territorio italiano è ancora integro e non inquinato dagli OGM. È una realtà della quale il legislatore si deve rendere conto per comprendere il da farsi e sulla quale non può nutrire dubbi.
Parafrasando una storica e drammatica esortazione, senza gli OGM nulla è perduto, ma con gli OGM tutto può esserlo. Per ogni approfondimento in merito rinviamo a quanto contenuto nella nota allegata alla presente relazione, precisando, peraltro, che la nostra associazione è già stata consultata sugli effetti degli OGM da questa Commissione nel dicembre 2004 e dalle Commissioni riunite 7a e 9a del Senato della Repubblica nell’audizione dell’11 giugno 2009.
Quanto alla rappresentatività dell’Asseme, i circa 50 associati sono quasi tutti attivi nella produzione di semi di grano duro e di riso, le due maggiori eccellenze italiane, e in misura minore nel settore delle leguminose e delle foraggere.
In particolare, più del 60 per cento della quantità dei semi di grano duro certificato, ascrivibile all’attività degli associati ai sindacati di categoria, è prodotto dai soci dell’Asseme. Per il riso essi producono circa il 40 per cento delle sementi italiane. Sia per l’uno, sia per l’altro settore sono qui presenti due rappresentanti.
Alcuni soci sono attivi, altresì, come costitutori di varietà e come ricercatori, nonostante la forte concorrenza internazionale e le crescenti difficoltà interne.
Necessario il sostegno pubblico alla ricerca sul seme convenzionale
Circa la progressiva riduzione delle varietà di frumento, avvenuta dalla fine dell’Ottocento ad oggi, pur condividendo le preoccupazioni avanzate in questa sede da altri, dobbiamo far rilevare, tuttavia, come la ricerca sulla semente convenzionale abbia contribuito in maniera determinante a elevare la qualità e la quantità del prodotto finale. Tale ricerca nazionale potrebbe rapidamente degradare a tutto vantaggio della concorrenza estera e delle multinazionali, se non si intervenisse per sostenerla con interventi pubblici robusti ed immediati.
Si aggiunge, con riguardo alla semente di grano duro, che, venuto meno il premio comunitario per l’utilizzo della semente certificata, per l’Italia assegnato dall’Ente nazionale sementi elette (ENSE), sta cedendo anche la qualità del prodotto finale, il grano duro italiano, considerando come l’agricoltore sia spinto a reimpiegare come seme la granella prodotta, ovvero il seme acquistato per uso zootecnico.
Tale effetto era stato ampiamente annunciato nel passato dall’Asseme al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, eppure nessun provvedimento di rettifica fu assunto, né appare all’orizzonte.
Per di più bisogna considerare che solo un terzo del grano duro necessario per produrre pasta può essere offerto dal mercato italiano e che il restante deve essere importato. Non si comprende come tutto ciò possa permettere ai pastifici di etichettare come pasta italiana una produzione che per due terzi utilizza grano duro estero. Da una parte, quindi, meniamo vanto della qualità di quanto produciamo e dall’altra facciamo di tutto per minare alla base tale qualità.
Le sementi certificate di grano duro convenzionale rappresentano il primo anello della filiera di fabbricazione della pasta di eccellenza. Nella produzione agroalimentare, infatti, sono diversi i momenti della qualità da garantire, controllare e mantenere: la qualità delle sementi, la qualità della produzione agricola, la qualità dello stoccaggio, la qualità commerciale, la qualità del mulino, cioè della prima trasformazione, e la qualità del pastificio, cioè della seconda trasformazione.
In connessione con tutto ciò, l’obiettivo primario dell’industria sementiera del settore resta quello di assicurare varietà nuove e di qualità certificata per rispondere al meglio ai bisogni degli agricoltori e dei consumatori finali del prodotto.
Se l’obbligo della certificazione delle sementi viene meno, come garantire questa qualità e quella degli altri momenti descritti? Cade la credibilità dell’intera filiera, né hanno più senso le successive certificazioni ed etichettature, comprese quella di pasta italiana.
È stato fatto presente da altri in questa sede, inoltre, che su un ettaro di coltura a mais e ibrido pesano circa 30-33 dollari di sperimentazione e di ricerca, e che per il frumento, pianta autogama autofecondante, questi costi crollano, sempre ad ettaro, a circa 3,3 dollari.
La notizia, però, va spiegata compiutamente. In realtà, i citati costi includono anche le ricerche sui semi geneticamente modificati e su quelli ibridi (e su altre tecniche che stanno sviluppandosi), che, non essendo più riproducibili, perché di fatto sterili, impediscono agli agricoltori di reimpiegarli in una generazione successiva, costringendo gli agricoltori a riacquistarli ogni anno, se vogliono coltivare.
È chiaro che, se questi sono i fatti, cresce pesantemente l’oligopolio delle multinazionali, con spese insopportabili per tutti, coltivatori per primi, e a scapito anche, bisogna rilevarlo, della qualità della semente e del prodotto finale.
Il prezzo delle sementi viene normalmente stabilito sulla base del costo delle materie prime, che aumenta più del 50 per cento il costo del prodotto (su ciò il ragionier Angileri potrà essere più preciso).
Per il grano, però, la realtà è diversa. Non siamo ancora pervenuti alla creazione di ibridi sterili stabili che ridurrebbero ulteriormente e drasticamente il parco varietale, ma nel momento in cui ciò avverrà non possiamo sapere che cosa accadrà al mercato mondiale e a quello nazionale. È questo uno dei motivi per cui i sementieri italiani chiedono al Governo di sostenere la ricerca privata e pubblica sul settore convenzionale con ogni energia e senza più indugiare, con una ricerca pubblica di ausilio a quella privata che fino a pochi decenni fa era il nostro vanto anche a livello internazionale.
Si aggiunge, al di là di quanto espresso e chiarito nella memoria allegata sugli OGM, che non si comprende come tali prodotti, considerando i costi indicati, possano agevolare un’agricoltura di economia e sfamare gli indigenti.
Il pericolo non finisce qui, però, perché da notizie di stampa si apprende che la multinazionale Syngenta e il CYMMIT, un istituto pubblico di ricerca messicano, hanno stipulato un accordo per la promozione di tecnologia applicata al frumento riguardante sia la selezione convenzionale – al che credo poco – sia quella ottenuta tramite modificazione genetica. La Syngenta e il CYMMIT – si afferma – «sono determinate a trasformare la produzione di grano nel mondo creando nuove piattaforme tecnologiche per stabilire standard qualitativi di rendimento senza precedenti».
Dal mais e dalla soia si passa, quindi, al grano ibrido transgenico, ma attenzione: il grano non è il mais o la soia.
Per l’Italia e per l’intera Europa, che operano e vivono nel bacino mediterraneo, il settore del frumento è strategico e vitale. Pertanto, esso non può essere lasciato in mano a operatori senza remore. Ribadiamo allora che l’Italia e l’Unione europea devono intervenire tempestivamente per favorire la ricerca nel settore e mantenere, nel contempo, la qualità del seme ai più alti livelli, premiando l’utilizzo da parte degli agricoltori di semente certificata.
Nuove tecniche produttive di vegetali da parificare agli OGM – Sostegno all’uso del seme certificato
Da rilevare, ancora, che sta emergendo una tecnica produttiva definita cisgenica. Interpellato in merito, il professor Pietro Perrino, genetista e agronomo indipendente di primo piano, ha dichiarato quanto segue: «La cisgenica e la transgenica sono implicitamente la medesima cosa, perché la tecnica è la stessa, l’ingegneria genetica».
Il risultato finale – sia che si tratti di transgeni, sia di cisgeni – è un DNA transgenico o cisgenico instabile, mal legato al resto del genoma. Una volta libero, esso si può ricombinare con altri DNA, dando origine a nuovi virus, nuovi batteri e nuovi funghi, secondo quello che si chiama trasferimento genico orizzontale.
In altre parole, per operare queste trasformazioni genetiche o cisgeniche in forma rapida ed economica, secondo alcuni, si usano alcuni virus, cosiddetti innocui, che, ricombinati con altri occasionali virus o batteri, possono produrre (e spesso producono) effetti devastanti sulla salute di uomini o di animali. Per esempio, il virus 35S promoter, utilizzato in genetica per la produzione di OGM, è un retrovirus che ha creato grosse preoccupazioni in campo medico, perché genera leucemie e tumori.
È sintomatico, peraltro, il fatto che, da quando si sono introdotte queste tecniche, con regolarità impressionante sono scoppiate pandemie sconosciute e incontrollabili fino al presente, mai prima di queste introduzioni verificatesi con tale frequenza e virulenza.
A ogni buon conto, per meglio comprendere lo stato attuale della produzione sementiera italiana di grano duro è opportuno precisare che i quantitativi di sementi ufficialmente certificati di questo cereale, secondo le proiezioni elaborate dall’ENSE – ora confluito nell’INRAN – nella campagna di certificazione 2010-2011, sono stati pari a circa 1.800.000 quintali, ossia il 33 per cento in meno della campagna di certificazione 2009-2010 e a sua volta in calo del 20 per cento sulla precedente campagna, 2008-2009, con ciò perdendo in sole due campagne di certificazione più del 50 per cento della produzione.
Ricordo, invece, che nel 2003-2004, poco prima dell’ingresso della riforma della Politica agricola comune (PAC), il seme di grano duro ammontava a 4.470.000 quintali. Da quell’epoca, quindi, c’è stato un vero tracollo dovuto evidentemente alla soppressione dell’obbligo di impiegare semi certificati per il frumento duro tramite i decreti ministeriali di attuazione dei Regolamenti comunitari in merito.
La spontanea domanda che da tutto ciò deriva è: a che serve la legge sull’etichettatura obbligatoria per le materie prime utilizzate per verificare la tracciabilità delle produzioni finali che arrivano ai consumatori? Ciò non significa che poi tale legge sarà rispettata ovvero che i controlli saranno puntuali ed efficaci.
Abbiamo visto come per fabbricare la cosiddetta pasta italiana, per i due terzi il grano duro utilizzato non è italiano. Ma anche per quel terzo utilizzato, quanto all’origine proviene da seme certificato? Non vorremmo che questa sbandierata qualità fosse solo una montagna di carte e di etichette senza alcun riscontro e contenuto.
Depotenziato l’ENSE, depotenziata la certificazione, la produzione di semi di qualità, la produzione di grano di duro, che cosa ci aspettiamo, che questi vuoti non vengano occupati da altri? Allora la situazione sarebbe come quella dei romani quando dicevano che Annibale era alle porte! Le multinazionali, sperando che facciano la stessa fine di Annibale, nel frattempo si sono accampate sotto le mura di Roma. Dobbiamo, però, privarle degli elefanti e dei promoter, quali virus incontrollabili, nazionali e comunitari, ma come riuscirci e a chi rivolgerci?
Per concludere, nell’immediato e nel concreto, per quanto concerne il settore del grano duro, si suggerisce di promuovere l’inserimento del sostegno specifico all’uso del seme certificato delle misure collegate all’articolo 68 del Regolamento CE/73/09 con il relativo premio; di sostenere fin d’ora la funzione e l’utilizzo di seme certificato di grano duro nel dibattito e nelle decisioni per la futura PAC che verrà attuata a partire dal 2013, considerando che il grano risulta non solo per l’Italia, ma anche per l’Unione europea una produzione strategica e vitale per molte zone, il cui mercato non può essere lasciato alla mercé di imprese multinazionali non interessate alla reale ed elevata qualità del prodotto finale.
Inaccettabile l’uso del “glifosato” in agricoltura
Nell’individuare gli obiettivi dell’indagine conoscitiva la Commissione ha osservato, tra l’altro, che, a ulteriore conferma dell’esistenza di un regime di oligopolio nel settore delle sementi e degli agrofarmaci, vi è da rilevare che le stesse sei imprese multinazionali operanti nel settore delle sementi sono presenti anche nel comparto degli agrofarmaci e, nel loro complesso, detengono quasi l’80 per cento delle quote di mercato a livello mondiale.
Questi risultati devono molto del loro successo anche al fatto che dette imprese vincolano gli acquirenti degli OGM o di semi derivati da altre tecniche di produzione all’utilizzo dell’erbicida più venduto al mondo, il Roundup, prodotto dalle stesse, in particolare dalla Monsanto.
Le indagini reiterate fin dagli anni novanta di scienziati indipendenti hanno dimostrato che il glifosato, presente nel Roundup, causa malformazioni negli animali da laboratorio (rane, polli, topi e altri). La Commissione europea è a conoscenza di questi effetti, eppure non è intervenuta a tutela del consumatore.
Appare allora chiaro che ci sia stata una deliberata volontà di coprire simili evidenze, inspiegabile e ingiustificabile, a tutto detrimento della salute pubblica. Il Roundup, peraltro, non viene utilizzato solo in agricoltura, ma anche nel giardinaggio, nei parchi e nelle aree verdi delle scuole.
Di questo pericolo sembra si sia finalmente accorta anche la stessa Commissione europea, per spostare, tuttavia, la validità dell’autorizzazione a utilizzare il glifosato dal 2012 al 2015. Gli interessi della Monsanto, dunque, per ora non si toccano.
A questo punto ci domandiamo che cosa facciano l’Italia, i nostri legislatori, e quale ruolo svolgano a livello comunitario, se siano autorizzati nel loro mandato a disporre anche della salute dei cittadini. Il principio di precauzione applicato agli OGM in Italia non doveva valere anche per i pesticidi e gli erbicidi, in questo caso il glifosato come il Roundup venduto ai nostri coltivatori, se gli effetti sono quelli citati?
In merito al riso (altro settore di eccellenza italiana in Europa) da sempre, questa associazione, condivide quanto altre associazioni di categoria hanno già fatto rilevare circa il pericolo di un degrado rapido della qualità della semente di riso certificata, considerando che dal 2012, dopo la PAC, non saranno più erogati aiuti comunitari per la sua produzione.
Riso “Clearfield” da parificare agli OGM
Per di più, le nuove tecniche produttive introdotte in questi ultimi tempi – ci riferiamo al metodo “Clearfield” – stanno ampliando le difficoltà e le preoccupazioni dei sementieri e dei risicoltori per l’impossibilità di difendersi dal moltiplicarsi di un nuovo tipo di riso crodo infestante, che rende inutile anche l’utilizzo del riso “Clearfield”, perché l’erbicida associato alla sua coltivazione per eliminare l’infestante stesso non appare più in grado di farlo, essendo esso divenuto resistente a tale erbicida.
Si pensi che il 20 per cento circa della superficie nazionale a riso è seminata con le varietà Clearfield, Libero, Sirio CL e altre varietà “Clearfield” di nuova iscrizione, ma anche queste varietà introdotte dalla multinazionale tedesca BASF, pur dichiarate stabili, non si sono rivelate tali, tanto che il seme “Clearfield” CL 131 è stato ritirato dal commercio, essendo risultato inquinato da geni estranei, dannosi al prodotto e all’ambiente, alle aree agricole e ai consumatori di riso e non per una sola annata, ma per ben tre annate, ossia nel 2005, nel 2006 e nel 2007.
Si tratta, dunque, di una tecnica di modifica genetica che sembra più vicina a quella utilizzata per gli OGM che non a quella naturale di incrocio e selezione, come sostenuto dalla BASF.
Anche un ente pubblico di ricerca, l’Ente nazionale risi, ha provveduto per primo a introdurre sul suolo nazionale tali varietà, senza procedere a necessarie e prolungate verifiche e attendere i risultati relativi, come gli eventi descritti avrebbero dovuto suggerire.
Occorre notare che tale ente non solo ha introdotto intempestivamente le dette varietà in Italia, ma è esso stesso proprietario di alcune di queste varietà, che addirittura moltiplica e commercializza ponendosi in diretta concorrenza con le ditte sementiere che dovrebbe tutelare e controllare. Ciò a dispetto di ogni regola e norma sulla libera concorrenza, sulla correttezza e sulla buona fede.
Il fatto si configura sotto un profilo giuridico, ove si consideri che l’ente in parola è in grado di conoscere annualmente delle imprese sementiere concorrenti ogni dettaglio dell’attività da queste svolta, perché le stesse sono obbligate per legge, per prevenire frodi, a comunicare all’Ente nazionale risi, quale organismo pagatore dell’aiuto UE alle sementi certificate di riso, le operazioni di acquisto, trasformazione e vendita in Italia e all’estero della semente certificata trattata, la quantità prodotta e venduta, la quantità degli stock invenduti, il nome degli acquirenti e degli agricoltori moltiplicatori.
Occorre precisare – per miglior chiarezza – che l’Ente nazionale risi ha regolarizzato la novella posizione di impresa sementiera, chiedendo e ottenendo dall’AGEA l’iscrizione nel registro degli stabilimenti dei costitutori al fine di poter stipulare contratti di coltivazione del seme posseduto con produttori moltiplicatori, non potendo l’impresa non registrata sottoscrivere tali contratti destinatari dell’aiuto UE alla semente certificata di riso, aiuto che viene direttamente corrisposto al sementiero, ove la semente provenga da terreni di proprietà (o detenuti) destinati alla richiamata moltiplicazione.
L’Ente nazionale risi ha iniziato a svolgere attività di vendita e di produzione della semente di seconda riproduzione, quando fino a due o tre anni fa aveva soltanto le varietà di pre-base, base e prima riproduzione, che venivano concesse alle ditte sementiere, le quali, a loro volta, svolgevano il lavoro dei sementieri moltiplicatori. L’ente è entrato, invece – mi permetterete una battuta calcistica – a gamba tesa in concorrenza con le nostre ditte sementiere.
Ne deriva anche il problema della concorrenza con i semi “Clearfield”, che ci stanno danneggiando e sul problema delle varietà che si stanno introducendo in un modo vertiginoso e che determinano l’oligopolio che si va a formare.
In quest’ultimo caso l’Ente risi, moltiplicando direttamente il seme posseduto su terreni di sua proprietà o nella sua disponibilità, quale organismo pagatore prescelto per il pagamento all’aiuto alla semente di riso in parola, andrebbe ad assumere nel contempo per le erogazioni di aiuto la veste di ente controllore e di impresa controllata. In altri termini, il controllato è il controllore e il controllore è il controllato.
Ciò vale anche per quanto concerne la verifica della nocività o meno della varietà di riso “Clearfield”, che l’Ente nazionale risi, ente pubblico di ricerca, possiede e moltiplica direttamente e commercializza. L’evidenza nociva del nuovo tipo di riso crodo infestante è stata, infatti, rilevata dai sementieri e dai risicoltori, non dall’Ente nazionale risi. Appare istituzionalizzato a tutti i livelli un incredibile disordine organizzato a vantaggio di pochi, ma forti ed invincibili interessi, a scapito e a detrimento di quelli di tutti, consumatori, risicoltori e sementieri compresi.
Nello specifico gli orientamenti della Commissione UE, ossia l’abolizione dei pagamenti diretti per la riforma della nuova PAC, l’adeguamento distributivo dei fondi per tutti i Paesi membri e la rimodulazione degli importi, rappresenterebbero per le imprese sementiere di riso una forte penalizzazione nel caso di disaccoppiamento, con conseguente effetto dirompente sull’attività di produzione e di ricerca delle sementi di riso, come già avviene nel settore del grano duro, e con perdita degli investimenti intorno al 50 per cento, come si evince dalla tabella allegata al documento consegnato.
Ricordiamo che gli agricoltori moltiplicatori di semente certificata di riso hanno diritto al premio comunitario solo se il 95 per cento del seme prodotto viene effettivamente venduto attraverso le ditte sementiere e utilizzato per la semina da parte dell’azienda agricola e per la produzione di risone.
Il meccanismo introdotto a partire dagli anni ottanta ha favorito la crescita di un’industria sementiera sempre più efficiente e attenta allo sviluppo di nuove varietà per l’Italia e per l’esportazione, al fine di soddisfare le esigenze del consumatore, determinando anche il successo del riso italiano in Europa.
La mancanza di un sostegno diretto o indiretto farebbe ritornare la produzione di semi di riso certificato a una situazione tipica degli anni settanta-ottanta del secolo scorso.
Riteniamo che per mantenere la qualità del riso nazionale convenzionale attuale, non “Clearfield”, attraverso l’uso del seme certificato, l’importo UE spettante all’Italia (il plafond destinato alla produzione di sementi come aiuto specifico è di circa 7.700.000 euro come media triennale) debba essere ripartito per tutta la superficie nazionale di riso, che si aggira intorno a 230-240 mila ettari.
I corrispondenti premi hanno un valore medio di 32,27 euro ad ettaro e, quindi, per equità dovrebbe essere concesso detto premio a tutti i produttori di risone e non solo ai soli 300 riproduttori moltiplicatori storici di semente, come si vorrebbe continuare a fare.
In concreto, per evitare effetti negativi produttivi e di mercato e tenuto conto della rilevanza strategica agroambientale delle risaie, l’Asseme propone di mantenere fino al 2013 l’attuale assetto normativo comunitario, sia per le sementi, sia per la coltivazione di risone, tenendo conto che la tecnica di riproduzione del seme tecnico di riso – ossia di pre-base, di base e di prima riproduzione – impone ai sementieri un periodo di preparazione e di programmazione non inferiore ai due anni prima della commercializzazione. Per questo motivo, se ciò viene introdotto immediatamente, salterebbero del tutto i programmi di ricerca e di investimenti che abbiamo già elaborato.
La richiesta di tale rinvio è giustificata, in altre parole, dal fatto che i programmi di ricerca e gli investimenti già anticipati, necessari per rispondere alle richieste dei produttori agricoli, sarebbero vanificati nel caso in cui le disposizioni adottate dalla riforma della PAC del 2009 entrassero in vigore, come stabilito, dal 1o gennaio 2012.
In via subordinata, si potrebbe introdurre nell’articolo 68, già citato, un sostegno specifico al miglioramento della qualità del riso per i risicoltori che utilizzano semente certificata, sempre escludendo il riso “Clearfield”.
Concretamente l’Asseme auspica che il sistema dell’uso di seme certificato, attualmente limitato a poche specie, sia introdotto ed esteso a tutte le sementi convenzionali, perché solo in questo modo ci si adegua seriamente alla politica della qualità, della trasparenza e della tracciabilità del prodotto finale che si afferma reiteratamente e a tutti i livelli di voler perseguire.
In conclusione, siamo convinti, per la nostra esperienza di costitutori e sementieri, che la natura, a patto che non sia violentata, possa con i suoi attuali prodotti convenzionali garantire salute e benessere a tutti, a condizione che ci si impegni per conservare l’arte del coltivare a noi tramandata dalla saggezza contadina, diffidando di mirabolanti traguardi pseudo-scientifici e di promesse che poco hanno a che vedere con la natura stessa e con i suoi ritmi, ricordando che il sistema agroalimentare ha nelle sementi un grande potere e che tale potere, a sua volta, è riportato attraverso le multinazionali. Ringrazio e chiedo scusa se mi sono dilungato.
Quesiti dei Deputati
PRESIDENTE. La ringrazio per essere stato nei tempi e anche per la documentazione consegnata, che renderà il nostro lavoro sicuramente più agevole. Ne autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ANITA DI GIUSEPPE. Buongiorno e grazie di essere con noi. Vi ho ascoltato attentamente e, da quanto ho capito, voi siete sicuramente sostenitori di un’agricoltura di qualità e di identità. Fate di tutto per difendere questo tipo di agricoltura attraverso sementi che siano di qualità e, quindi, non siete d’accordo sulla manipolazione che viene prodotta attraverso gli OGM, soprattutto perché non si conoscono, in effetti, quali siano i loro risultati sulla salute, sugli animali e sull’ambiente.
Qualcuno, però, sostiene che le coltivazioni di organismi geneticamente modificati potrebbero essere gestibili attraverso un piano di coesistenza.
Vorrei sapere che cosa ne pensate, precisando subito che il Gruppo al quale appartengo, l’Italia dei Valori, è chiaramente contrario all’impiego degli OGM, proprio per gli effetti negativi che si possono avere attraverso l’utilizzo di questi organismi. Noi siamo per un’agricoltura convenzionale, ma che venga anche rapportata alla qualità. La mia domanda riguarda, quindi, i piani di coesistenza di cui si parla tanto e su cui vorremmo sapere di più.
SUSANNA CENNI. Ringrazio per l’esaustiva comunicazione che l’associazione ha voluto rendere a questa Commissione. Condivido completamente l’impostazione che avete illustrato, a partire dalla convinta contrarietà all’introduzione degli OGM, ma soprattutto di sementi, con tutti i rischi che ciò comporta per la biodiversità. Non a caso, su tale tema la Commissione Agricoltura ha avviato la discussione di alcune proposte di legge.
Ho apprezzato le ampie considerazioni che avete svolto e la documentazione che ci lascerete, ma volevo conoscere la vostra valutazione sullo scenario che si può aprire dopo la sentenza del TAR del Lazio che, come voi sapete, ha annullato il decreto del Ministro Zaia, anche in conseguenza delle gravi vicende accadute nel Friuli-Venezia Giulia, dove illegalmente si è proceduto alla semina di mais geneticamente modificato, con tutti i rischi di contaminazione del caso.
Pensate che la posizione assunta dalle regioni italiane, che richiedono con forza al Governo l’assunzione della clausola di salvaguardia, possa sufficientemente rispondere a questa esigenza e alle possibili difficoltà che si possono aprire?
TERESIO DELFINO. Rivolgo un cordiale saluto agli intervenuti anche da parte del gruppo al quale appartengo. Essendo arrivato un po’ in ritardo, mi permetterò, dopo, di svolgere un’attenta rilettura del documento, anche perché il dottor Lucconi, per risparmiare tempo, andava molto velocemente.
Ho colto, però, rispetto al tema in discussione, alcuni punti. È chiaro che l’arte del coltivare è un’esperienza che matura nella storia, nella grande tradizione del nostro Paese, dove la qualità è progressivamente diventata l’elemento distintivo. Occorre evitare, quindi, che la qualità non sia soltanto un’affermazione retorica, ma fare in modo che incida sul reddito reale dei produttori agricoli. Altrimenti è soltanto un’affermazione priva di conseguenze.
Volevo chiedere, rispetto al tema della ricerca sulle sementi – essendo convinto che la questione degli OGM debba, almeno sul piano della coesistenza, garantire coloro che vogliono produrli, ma assicurare anche ai consumatori un prodotto «OGM-free» – se voi rispetto alla ricerca ritenete che ci debba essere in futuro una più forte attenzione nell’ambito delle politiche di sostegno comunitario, in modo da garantire sempre meglio chi vuole sviluppare produttività e, nello stesso tempo, anche la qualità «OGM-free».
Ho preso atto, non senza un pensiero, del fatto che sostanzialmente avete chiesto di bloccare l’avvio delle modifiche apportate nel 2009. L’arco di tempo relativo all’approvazione di questa modifica è di oltre due anni (dal 2009 al 1o gennaio 2012). Al di là delle motivazioni che avete espresso, quali sono le ragioni per cui – avendo un meccanismo valido, che voi avete confermato, e che sarebbe bene conservare fino al 2013 per la nuova PAC – si è approvata la modifica nel 2009, mentre voi ritenete che possa partire al massimo con la nuova PAC 2014-2020?
Passo a un’ultima questione. Nel corso delle audizioni di questa indagine siamo stati naturalmente attenti alle segnalazioni e alle denunce che sono venute rispetto al monopolio del mercato delle sementi. Avete indicazioni da fornirci al riguardo?
SEBASTIANO FOGLIATO. Ringrazio i rappresentanti dell’Asseme per essere presenti a questa audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci.
Ringrazio per il contributo che avete portato ai lavori di quest’indagine conoscitiva, che nasce soprattutto per cercare di capire se nell’ambito dei mezzi tecnici che servono alla produzione agricola e a fattori come la semente, che è la base fondante del settore, da parte delle aziende produttrici ci sia un abuso della loro posizione dominante per la fissazione dei prezzi.
Noi ritenevamo che sul seme e sugli agrofarmaci tale abuso ci fosse da parte di queste multinazionali ed esso, nell’ambito di questa indagine conoscitiva, è stato ormai accertato anche da parte di autorevoli esponenti che hanno fatto riferimento a un oligopolio messo in atto proprio da queste aziende produttrici di seme.
Ciò non riguarda forse il frumento, che presenta ancora una dinamica diversa, ma per la stragrande maggioranza dei semi che l’agricoltore deve acquistare si è rilevata innanzitutto una posizione dominante da parte delle aziende produttrici e poi un abuso sul prezzo. Oltre ad incidere sulla produzione e sulla commercializzazione delle sementi e degli agrofarmaci, queste multinazionali abusano della loro posizione dominante per la fissazione del prezzo di vendita di questi fattori, che sono i mezzi tecnici di produzione di cui l’agricoltore si deve servire in modo obbligato. Abbiamo riscontrato che tra gli aumenti dei costi di produzione nell’agricoltura ci sono queste componenti, tra le quali il seme. Ovviamente, quando parliamo di seme, non ci riferiamo a tutto il comparto. Siamo consapevoli che con riferimento al frumento non esiste questo abuso indiscriminato, ma su alcune varietà di semi esso esiste.
Vi ringrazio anche per il contributo che avete dato in materia di OGM. Anche il Gruppo della Lega non condivide l’uso di tali organismi perché riteniamo che non si adattino ai nostri territori e alla tipologia delle nostre aziende agricole. Infatti, la produzione agricola tramite OGM riguarda più un’agricoltura con estensioni di terreno ben maggiori delle nostre, come in America, in Brasile e in Argentina, dove si produce circa l’80 per cento con semi OGM.
Negli Stati Uniti l’azienda agricola produttrice di mais più piccola è di 250 ettari. In Italia la superficie media aziendale è di 7,6 ettari e il 70 per cento delle aziende ha una superficie inferiore ai 5 ettari. Si tratta, dunque, di un modello di agricoltura che non si adatta al nostro sistema.
Mi fa piacere che ci sia questa consapevolezza, questa presa di posizione anche da parte della vostra associazione. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.
Impossibile coesistenza tra vegetali GM e vegetali non GM
ENRICO LUCCONI, Rappresentante dell’Associazione sementieri mediterranei (Asseme). L’onorevole Di Giuseppe ha chiesto che cosa pensiamo dei piani di coesistenza. Noi ci opponiamo ai piani di coesistenza, non per partito preso, ma perché – come ho detto e come è riportato anche nella memoria allegata – gli OGM hanno un effetto dominante nella fecondazione di un’altra pianta e, quindi, trasferiscono alla generazione successiva il proprio gene. Ce lo ritroviamo, quindi, sempre; è irreversibile. O si coltiva l’uno o si coltiva l’altro.
Una volta introdotti, chi ci garantisce la possibilità di controllare i piani di coesistenza? Provi a immaginare un’azienda agricola in cui il vicino, prima di coltivare, deve comunicare che coltiverà OGM.
Chi vi parla – non lo dico per presunzione – è figlio di un contadino, si è laureato in agraria e specializzato in scienze alimentari. Ho lavorato per cinque anni presso una multinazionale europea di mais e ibridi destinati all’ottenimento dell’amido, quindi all’industria alimentare. Producevamo un mais particolare, chiamato mais waxy, ed era a carattere recessivo, non dominante.
Per tornare alla genetica, nel modo in cui le multinazionali ce la vogliono far credere, madre natura ha inventato un mais interamente di produzione amilopectinica, non contenente la frazione amilosica. I cereali, le patate, il riso, il mais comune contengono il 75 per cento di componente amilopectinica e il 25 per cento amilosica.
L’industria si è domandata: perché effettuare una doppia lavorazione per separare le due catene dell’amido? Esiste in natura la varietà waxy, che tuttavia era una varietà recessiva, perché prendeva il polline delle altre varietà di mais comune. Io ho attuato per cinque anni ciò che prescriveva la raccomandazione di Bruxelles, la quale mi ha fatto ridere, perché diceva che bisognava coltivare, pulire la macchine, osservare le distanze, il sottovento e il sopravvento, le varietà precoci e tardive.
Quando andavo in azienda, negli anni 1975-1980, mi tacciavano di essere prepotente e chiedevano che ci andassi a fare. Dovevo realizzare il mais waxy, ma, poiché esso sfortunatamente era recessivo, veniva contaminato. Mi fu offerto un seme a un prezzo migliore e avrei potuto costituire anche io un’azienda. Parlo del Nord Italia, un’area dove forse neanche l’autostrada riesce a separare le produzioni di mais.
In cinque anni non sono riuscito a realizzare una partita di mais waxy puro allo zero per cento, perché il polline viaggia. I piani di coesistenza, dunque, non riescono a fermarlo. La scelta è tra l’uno o l’altro e, quindi, siamo contrari.
C’è poi un tentativo da parte delle multinazionali di nascondere o di giustificare il conflitto, perché è di un conflitto che si tratta: quello tra uomo e natura. Lo nascondiamo, ma noi uomini siamo dentro la natura. Che cosa vogliamo? Questo conflitto ha ormai raggiunto livelli insopportabili e lo vediamo da tutte le situazioni di tipo agrofarmaceutico.
L’industria petrolchimica e chimico-farmaco-agroalimentare, tramite la voce di Henry Kissinger, nel 1970 – perdonatemi lo sfogo – premio Nobel per la pace, ha affermato che chi governa il petrolio, governa una nazione. In merito posso essere d’accordo. Poi ha continuato, affermando che chi controlla il cibo, controlla l’intero mondo. Da qui gli OGM.
Sono figlio di contadini. Fino a ieri i nostri nonni che cosa hanno mangiato? Dovevano avere per forza il biotecnologico? Mi è stato riferito che ieri a New York, nel salone americano sul food, mostravano come si preparava il formaggio con la polvere. In quello stand, tuttavia, non c’era nessuno, mentre lo stand italiano era pieno.
Che tipo di cibo vogliamo? Come ha affermato Ippocrate, il cibo è la tua medicina, ossia la farmacia, e la farmacia sarà il tuo cibo. Ci vuole tanto a capirlo? Allora dietro gli OGM ci sono alcuni interessi.
Nel nostro documento – potete consultare anche quello prodotto per il Senato – affermiamo che siamo contrari ai piani di coesistenza. Anche in un convegno organizzato dal Comitato delle regioni nelle Marche nel 2009, al quale ci presentammo, ci dichiarammo contrari. Il motivo è logico e semplice: si viene a stravolgere il mercato fondiario.
O è tutto OGM e allora finisce il problema, oppure, se c’è una coesistenza, come si deve gestire il vicino che non coltiva OGM? Per di più, oltre al polline, anche il terreno subisce una contaminazione tramite gli effluvi radicali. E allora cosa accade? Si deprezza il terreno a fianco e lo si compra. Che vantaggio c’è?
Vengono, quindi, superati l’articolo 44 della Costituzione, che esprime il concetto di poter portare e garantire la fertilità in agricoltura al suolo, nonché l’articolo 32, sulla salute, e l’articolo 9, sull’integrità dell’ambiente.
Noi abbiamo parlato del principio di precauzione, ma è un mito. Quando fa comodo, lo usiamo, altrimenti no. Tale concetto è basato sul rischio zero. In questo senso diventa un concetto di proibizione. Non so se ho risposto alla domanda.
Passo adesso alla domanda dell’onorevole Cenni, che ringrazio di condividere il nostro pensiero, riguardo alla posizione del TAR del Lazio. Esso ha espresso la sua valutazione. Mi pare che il Ministro Romano – non so se l’abbia già fatto o se lo stia facendo (noi al riguardo gli abbiamo inviato anche la nostra nota) – stia per applicare la clausola di salvaguardia. Mi sembra che in questi giorni sia circolata una notizia secondo cui il presidente del Parlamento europeo abbia proposto che ogni Stato può decidere se diventare OGM-free.
Non è questo il problema, anzi, io proporrei che l’Italia diventasse un’isola felice per conservare la biodiversità. Non a caso, il nostro territorio in questa condizione orografica ci ha permesso di avere alcune eccellenze. Si va dal grano duro, agli altri cereali, alle leguminose e ai prodotti alimentari da essi derivati.
Il TAR del Lazio ha adottato la sua decisione e noi vedremo come possiamo comportarci. Come Asseme, nel 2004 abbiamo presentato alla Corte costituzionale, pur non avendone il diritto come associazione privata, una documentazione a sostegno del ricorso della regione Marche. La relativa sentenza, la n. 116/2006, ci ha dato ragione in parte, insieme alla regione stessa.
L’onorevole Delfino parla della qualità e della ricerca. I nostri costitutori del grano duro e del riso sono presenti oggi non tanto per fare un’esperienza nel Parlamento, ma per dimostrarvi che fino a oggi noi siamo in grado di produrre e di ricercare. Esiste la banca dell’Istituto del germoplasma di Bari, che conserva 60-70 mila varietà di semi. Noi attingiamo a quella banca per poter migliorare la qualità. Sono semi presi in tutto il mondo.
Un noto breeder, che peraltro lavora per il gruppo della Proseme, il professor Calcagno, mi ha riferito che le varietà e il seme si realizzano in campagna, dove si prende il sole, altrimenti ci dobbiamo mettere le tute e andare in laboratorio. Quando si lavora con i virus e con i genomi, mi pare che ci sia una dissonanza forte, proprio perché noi siamo dentro la natura. Al fine di migliorare la ricerca occorre dunque continuare questo approccio.
Perché non abbiamo più finanziato la ricerca di tipo pubblico? Vedo una logica – chiedo scusa dell’espressione – un po’ «vetero-complottista». Perché a un certo punto non si erogano più fondi alla ricerca, che era una ricerca neutra, per tutti? È chiaro che, quando la ricerca viene finanziata dalla multinazionale e dal privato, essi vogliono i risultati per sé, perché ricercano il profitto. Ci vuole molto a capirlo?
Se da tremila anni l’Italia riesce ad ottenere prodotti di eccellenza è perché siamo stati bravi? Sì, siamo stati bravi a coltivare e organizzare utilizzando la saggezza contadina, ma abbiamo anche saputo aiutare la natura attraverso il miglioramento genetico tradizionale, convenzionale o mendeliano. Andando oltre si finisce per violare la filogenesi e l’ontogenesi della natura. Noi non lo possiamo fare, perché ne siamo parte. Per questo motivo, sosteniamo il nostro principio e i nostri associati sono qui a difendersi contro le multinazionali, come la BASF.
Vi porto il caso della varietà Almo sementi, una varietà che rappresentava il 30 per cento del mercato nazionale risicolo e anche una buona percentuale del riso europeo di semente. Essa è stata, se mi permettete l’espressione, rubata, inserendovi il gene del Clearfield. Adesso tale varietà è in declino a favore del nuovo seme, che viene coltivato su 40 mila ettari. A vantaggio di chi? Della BASF. Che cosa introduciamo? Il sistema Clearfield è un sistema per nascondere tutto, un sistema di tecnica molecolare.
Parafrasando una frase di un noto professore candidato al Premio Nobel per la pace, si nasce geni, ma si vive un po’ da imbecilli, perché siamo condizionati e non siamo liberi di fare ciò che madre natura ci permetterebbe di fare con la creatività che ci ha dato nel lato destro del cervello.
Poiché io lavoro per la natura, sono figlio di contadini, agronomo, ho lavorato e vivo ancora in questa situazione, faccio di tutto per evitare questo risvolto, perché non è un vantaggio mio, ma degli altri.
Signor presidente, essendo nel settore, ho visto sempre ogni due anni un’innovazione biotecnologica, nelle macchine o nelle sementi. Questo sistema è un trucco per innovare sempre, per rendere vecchio quanto esisteva prima e immettersi nel mercato.
Quando si brevetta un telefonino, va bene. Si tratta di un prodotto tecnologico e per fare concorrenza si fa diventare vecchio il modello precedente tramite un processo chiamato obsolescenza economica e lo si butta fuori dal mercato.
Quando si deve brevettare la natura, però, non si butta, ma si rovina il sistema. Una volta brevettata la novità, la biodiversità finisce e, quindi, si va proprio in senso contrario a quello del brevetto.
Quanto alla domanda sui prezzi, l’onorevole Fogliato ha ricordato i prezzi sul frumento e sui cereali.
Il frumento duro, che appartiene alle piante autogame, è una pianta nella quale la multinazionale vuole violare la natura, rendendola sterile. Per questo motivo ci sono 3,3 dollari a ettaro, perché ancora non c’è interesse. Si sta investendo molto nell’ottenimento della maschiosterilità per i frumenti in modo da impedire ai coltivatori di riseminare.
Perché mettere in condizione l’azienda agricola di vivere un momento di disagio? Anche se le si dà il seme, essa non lo può sentire suo, perché non lo può riprodurre e per tanti motivi è bloccata. Una volta che il frumento sarà diventato ibrido, fra alcuni anni, costerà 33 euro a ettaro, perché bisogna pagare la ricerca.
ROBERTO ANGILERI, Consigliere dell’Associazione sementieri mediterranei (Asseme). Ieri ho trovato una massima di Eisenhower: «L’agricoltura sembra molto semplice, quando il tuo aratro è una matita e sei a un migliaio di miglia dal campo di grano». È una massima che può essere ben accostata al nostro caso, perché forse oggi sull’agricoltura italiana può decidere qualcuno che il campo non lo vive. Mi auguro che la Commissione agricoltura possa venire un giorno a vedere i campi sperimentali che ogni anno organizza Proseme, azienda leader nel settore del grano duro e che produce varietà frutto di una ricerca decennale.
Se qualcuno conosce la ricerca tradizionale, sa che occorrono dieci anni prima di ottenere una varietà di grano. È un lavoro che sarebbe mortificato qualora una multinazionale realizzasse in brevissimo tempo un nuovo ibrido, calpestando il lavoro di una ricerca tradizionale avvenuta nel corso degli anni, di mantenimento in purezza e di stabilizzazione della varietà. Non solo, esso è frutto anche di costi e di investimenti per questo gruppo di ricerca, di tasse pagate al Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali.
La non obbligatorietà del seme certificato oggi mi fa pensare male. Noi nel 2006-2007, se non anche prima, avevamo circa 4 milioni di quintali di seme certificato. La Proseme nel 2002 ha avuto il vantaggio di produrre varietà oggi leader di mercato. Il Simeto, che è una nostra varietà, ancora oggi è leader di mercato.
Allora perché non introdurre l’obbligatorietà del seme certificato? Quest’anno si è passati dai 4 milioni a 1.300.000 quintali, con una perdita del 66 per cento. Forse dietro questa maschera c’è una logica multinazionale che non vuole la tracciatura di filiera, che noi tutti decantiamo, dal seme, al grano, alla pasta. Noi vogliamo scrivere «pasta di grano duro italiano» oppure non lo vogliamo?
Pensiamo per un momento a un mercato in cui su un packaging di pasta fosse scritto «pasta prodotta con grano duro geneticamente modificato». Vorrei sapere come risponderebbe il consumatore. Lottiamo insieme per non calpestare la ricerca tradizionale e non consegnare il mercato a quelle poche multinazionali presenti nel mondo.
PRESIDENTE. Ringrazio i cortesi auditi per l’utile sollecitazione che hanno voluto offrire a questa Commissione in merito all’indagine conoscitiva che stiamo portando avanti.
Dichiaro conclusa l’audizione.
(https://documenti.camera.it/_dati/leg16/lavori/stencomm/13/indag/agrofarmaci/2011/0713/pdf001.pdf)
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