I sistemi alimentari sono alla base e condizionano le attività umane. Le attuali strutture agroindustriali sono tra le principali cause di superamento dei limiti planetari di stabilità e resilienza socio-ecologica. Esse sono il primo fattore di superamento del limite nell’alterazione dell’integrità e della diversità biologica, così come per i cicli di azoto-fosforo e per il consumo del suolo; tra le prime cause per i cambiamenti climatici; sono inoltre la prima nell’avvicinamento al limite nel consumo di acqua. Globalmente due persone su tre soffrono di seri problemi nutrizionali (denutrizione, malnutrizione, sovrappeso, obesità, …). Nessun paese europeo è in condizioni di autosufficienza alimentare e gravissime sono le disuguaglianze a livello globale.
Nello studio Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale*, sono analizzate le connessioni più rilevanti tra le disfunzioni dei sistemi alimentari e altri temi fondamentali, così da costruire una visione d’insieme socio-ecologica che comprende la sicurezza e la sovranità alimentare, la bioeconomia circolare, il consumo di energia e di altre risorse, il degrado della biodiversità, le alterazioni climatiche e dei cicli biochimici. Dall’esame dei quadri concettuali esistenti si giunge a una definizione sistemica dello spreco che comprende elementi fondamentali finora poco considerati come, ad esempio, le perdite nette edibili dovute agli allevamenti animali e la sovralimentazione. In un sistema alimentare lo spreco è la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali o le capacità ecologiche. Lo “spreco alimentare sistemico” è quindi un meta indicatore della (dis)funzionalità dei sistemi alimentari.
Considerando anche la sovralimentazione e le perdite nette da allevamenti, insite nei derivati animali alimentati con prodotti edibili, lo “spreco sistemico” rispetto ai fabbisogni raccomandati, potrebbe essere nel mondo circa il 50% della produzione iniziale (1960 kcal/procapite/giorno). La tendenza globale suggerisce che a lievi aumenti del fabbisogno medio si risponde con eccessi di produzione, fornitura e consumi, generando aumenti esponenziali di spreco (32 volte quello del fabbisogno). I dati medi nascondono fortissime disuguaglianze tra paesi e al loro interno generando tra l’altro sovrappopolazione e tragici fenomeni migratori. Laddove produzione e forniture dei paesi sviluppati calano anche gli sprechi scendono. Ciò mostra che tra le cause principali di spreco vi sono la sovrapproduzione, la sovraofferta, il sovraconsumo, la distribuzione asimmetrica. Nella ricerca sono quindi indagate in dettaglio le cause di spreco e i condizionamenti strutturali lungo differenti tipi di filiere e di modelli alimentari, in particolare i colli di bottiglia agroindustriali.
Lo “spreco sistemico” potrebbe essere in Italia almeno il 63% della produzione iniziale (4160 kcal/procapite/giorno). In Italia malnutrizione e obesità sono in rapido aumento; cresce anche la difficoltà di accesso al cibo. Il Paese è in condizioni di non autosufficienza alimentare (inferiore all’80% e per alcuni prodotti sotto il 60%), con il quinto deficit di suolo agricolo nel mondo (per via anche di abbandono rurale e consumo di suolo naturale/agricolo). In Italia l’impronta ecologica dello spreco alimentare impiega circa il 50% della biocapacità del paese, ovvero la capacità del territorio di rigenerare risorse e assorbire rifiuti in tempi limitati. L’impronta ecologica mondiale dello spreco alimentare incide per il 58% sul deficit totale di biocapacità. Gli effetti ambientali ed ecologici sono associati soprattutto alle fasi produttive più che allo smaltimento dei rifiuti alimentari e anche per questo è necessario concentrasi prima di tutto sulla prevenzione delle eccedenze più che sul destino dei rifiuti.
Gli sprechi sono molto minori in reti alimentari corte, locali, ecologiche, solidali e di piccola scala rispetto ai sistemi convenzionali. Nelle filiere corte, locali e biologiche (vendita diretta, mercati e negozi degli agricoltori, …) la produzione di rifiuti alimentari è mediamente 3 volte inferiore a quella dei sistemi convenzionali. Addirittura essa è mediamente 8 volte inferiore in reti alimentari ancor più capillari su base agroecologica, locale, solidale e di piccola scala come nei gruppi di acquisto solidale o nelle agricolture supportate da comunità (CSA, dove i consumatori sono anche produttori). Chi si approvvigiona solo tramite reti alternative spreca in media un decimo di chi usa solo canali convenzionali. Le prestazioni ambientali e sociali di questi sistemi sono di gran lunga più efficaci rispetto ai sistemi industriali. Le reti alternative riducono le intermediazioni, i passaggi e l’occorrenza di eccedenze e sprechi, anche per il maggior valore economico dei prodotti. I cibi si conservano più a lungo per i consumatori. Questi tendono a sviluppare una maggior consapevolezza dei processi alimentari e ad assegnare maggiore valore sociale e culturale al cibo che acquisiscono. Inoltre migliore è la programmazione e il coordinamento della produzione con il consumo, nonché con i fabbisogni e le diete raccomandate; il che implica anche minori sprechi da sovralimentazione o da consumo di derivati animali (perdite nette per allevamento). Più efficace è la gestione dell’invenduto e soprattutto il controllo dei vincoli tecnici e commerciali nella produzione e nella distribuzione. Ciò rende più equa e condivisa la determinazione dei costi e dei prezzi del cibo, che molto spesso sono la causa di perdite in campo o sprechi nel consumo. È essenziale sviluppare il potenziale delle reti alternative di coprire la domanda alimentare dei singoli paesi e renderle accessibili a una parte molto più ampia della popolazione, affrontando i condizionamenti, anche interni, che le limitano.
Considerando le impronte ecologiche dei sistemi alimentari e dei loro sprechi, per rientrare nelle biocapacità dei territori, gli sprechi sistemici (con sovralimentazione e uso per allevamenti) vanno ridotti ad almeno un terzo degli attuali nel mondo e ad almeno un quarto in Italia. Obiettivi minimi potrebbero essere livelli medi di spreco sistemico al di sotto del 15-20%, con riduzioni dei surplus, dei fabbisogni complessivi e una transizione verso la rilocalizzazione ecologica e solidale di reti e sistemi agro-alimentari di piccola scala.
Viene quindi individuata la priorità di spostare l’attenzione da soluzioni volte a minimizzare la produzione di rifiuti alimentari (efficienza tecnologica, recupero e riciclo), verso soluzioni più strutturali, in grado di prevenire alla fonte la produzione di eccedenze alimentari e i conseguenti sprechi ed effetti negativi. Infatti le soluzioni non strutturali possono rendere necessarie le eccedenze e favorire l’aumento di sprechi ed effetti negativi. La bioeconomia quasi-circolare dovrebbe invece svilupparsi evitando il paradosso di Jevons (aumenti di efficienza generano incrementi del consumo totale di risorse) usando eccedenze limitate a quote “fisiologiche”.
Nello studio sono estesamente trattate numerose buone pratiche e proposte di prevenzione strutturale a molti livelli. Il cibo va reso realmente un diritto e un bene comune, con maggior valore sociale ed economico, produzione e accesso equi, evitando mercificazioni e spettacolarizzazioni. I fabbisogni totali e le eccedenze vanno ridotti, la produzione va resa ecologica e autosufficiente, invertendo il consumo di suolo agricolo/naturale, riducendo nelle diete prodotti animali, iperprocessati, grassi insalubri, sali, zuccheri, così come le dipendenze dei sistemi alimentari da finanza e commercio internazionale. Alla base dovrebbero esservi comunità locali autosostenibili e diversificate, tra loro cooperanti in una fitta rete di progettazione paritaria globale. Su ciò dovrebbe fondarsi la pianificazione socio-ecologica di modelli alimentari e gli acquisti pubblici, le politiche locali alimentari sistemiche e partecipate, l’educazione alimentare e la crescita della consapevolezza, il supporto alle reti solidali locali, di piccola scala ed ecologiche, la tutela dell’agricoltura contadina e dell’accesso alla terra, l’agroecologia e la tutela dell’agrobiodiversità, l’agricoltura sociale, urbana-periurbana e in aree interne, il contrasto agli illeciti agroalimentari, il sostegno alle attività di ricerca, le iniziative istituzionali, la riconversione delle filiere industriali, il ruolo attivo dei cittadini.
Queste urgenti trasformazioni possono diventare le principali basi di una strategia complessa per garantire autosufficienza alimentare, benessere e resilienza ecologica e sociale, ovvero capacità di adattamento e prevenzione di fronte ai pericoli naturali e antropici che si stanno manifestando e che inevitabilmente andranno molto ad acuirsi nei prossimi anni.
Articolo di: Giulio Vulcano, ricercatore ambientale ed esperto di economia solidale
* Lo studio Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale è stato prodotto nell’ambito di un’ampia attività di ricerca libera sulla sostenibilità socio-ecologica dei sistemi alimentari, iniziata da almeno 3 anni. Secondo un approccio il più possibile sistemico, essa unisce elementi interdisciplinari di analisi e diagnosi tecnico-scientifica a esperienze dal basso nelle reti autonome della società civile. Parte di questa ricerca è confluita nel Rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”. I contenuti di questa pubblicazione non impegnano ISPRA in nessun modo e ad alcun titolo.
Il testo integrale dello studio di Giulio Vulcano pubblicato da European Consumers: Spreco alimentare. Approccio sistemico e prevenzione strutturale
0 commenti